Xavier Niel, al centro, con i suoi studenti all’inaugurazione dell’anno scolastico in Silicon Valley (foto di Michele Masneri)

Gli asini al potere

Michele Masneri

Macché università per la Silicon Valley. Eccoci alla nuova Ecole42 proprio quando arriva il suo fondatore, dropout di gran successo

San Francisco. Il dropout, che grande classico della cultura americana. Il brufoloso casto che va male a scuola e abbandona l’università, quello che in Italia sarebbe entrato nei Cinque stelle e invece in Silicon Valley fonda imperi e poi ritorna come il conte di Montecristo: è un topos perenne, “ombra” psicoanalitica di un paese che rincorre lauree costosissime in atenei Ivy League indebitandosi per generazioni. Però adesso, qui in Silicon Valley, i dropout sono al potere più che mai. Potrebbero utilizzare il classico motto “non ho mai lasciato che la scuola interferisse con la mia educazione”, secondo il re degli umoristi sanfranciscani, e dropout in proprio, Mark Twain. Ma già una sfilza di padri della patria digitale è fiera di aver lasciato lauree brevi e lunghe: Michael Dell degli omonimi computer (che molla dopo solo un anno l’università del Texas), Bill Gates dopo tre anni ad Harvard, Steve Jobs sempre affamato e folle, e mai in classe; e poi ancora, tra i più millennials, Mark Zuckerberg di Facebook, e Travis Kalanick di Uber, entrambi fuggiti dall’università a vent’anni, che poi si sono fatti una discreta posizione. Oggi che tanti di questi dropout anche di seconda generazione “valgono” pil più pesanti di tanti stati sovrani, vogliono stabilire loro la loro educazione e dare la botta finale al sistema, forse anche a seguito di complessi pesantissimi trascinati tutta la vita.

Alcuni turbolibertari professano il ritorno al precettore privato, altri spediscono i rampolli alla “Scuola” (in italiano nel testo), di Valentina Imbeni, la più gettonata di Silicon Valley, che propone un “Reggio Emilia approach”, in quanto Imbeni è figlia di un mitico sindaco della città emiliana. I più aggressivi danno poi soldi agli studenti purché abbandonino: il solito Peter Thiel, fondatore di Paypal, eminenza grigia trumpiana, offre con la sua Thiel Fellowship una borsa di non-studio da 100.000 dollari cash a studenti che mollino i banchi per seguire una loro idea di business. Adesso però qui arriva il più dropout di tutti, che non è americano bensì francese. A Fremont, luogo famoso per lo stabilimento della Tesla, apre infatti 42Usa, versione siliconvallica della omonima scuola per programmatori aperta a Parigi da un paio d’anni da Xavier Niel, imprenditore francese che già ha disintermediato il mercato delle tlc. Nel 1999 ha lanciato il primo operatore Internet francese, Free, dal 2012 è entrato nei telefoni mobili, terremotando il settore con una specie di Ryanair del cellulare. E’ entrato e uscito da Telecom Italia e l’anno prossimo arriva con un suo gestore. Ha fondato l’incubatore di startup più grande di Francia e forse del mondo, Station F, che aprirà ad aprile a Parigi, e un primario venture capital (Kima Ventures). Nel tempo libero ha salvato il decotto Monde dal fallimento mettendosi contro i sindacati e l’intellighenzia ostile a questo “pornographe”, come lo chiamava Sarkozy, perché Niel ha cominciato a fare i soldi con gli annunci “rosa” nel Minitel, ha inventato insomma Tinder trent’anni fa (è stato anche in carcere per la titolarità di alcuni locali di peep-show, lui lo rivendica con orgoglio, è un personaggio assai disruptive).

Poi, soprattutto, ha creato questa Ecole42, che era già provocatoria in Francia, messa su accanto al glorioso liceo Balzac, il più grande di Parigi, nel Diciassettesimo. Qui in America ancor di più: perché è totalmente gratis. L’imprenditore ha donato infatti 100 milioni per mettere su questa scuola che non ha professori e non ha esami e soprattutto non costa un dollaro agli studenti. Allora si prende il trenino, trenino sgarrupato, che ci scarica a Fremont, in un compound di querce e aziendone, e però non si trova il palazzo luminescente à la Frank Gehry pubblicizzato sul sito, ma una vecchia palazzina di una vecchia università privata, che Ecole42 ha rilevato, e tra qualche mese abbatterà e ricostruirà (ci sono ancora le vecchie insegne di un vetusto e costoso college, il DeVry, inventato dall’inventore del proiettore da cinematografo, Herman A. DeVry). Ce lo spiega Brittany Bir, che ha ventisette anni e sembra Charlotte di “Sex and the City”: è la Coo della scuola, una specie di preside, anche se il ruolo tecnico è chief operating officer, ed è a sua volta una ex allieva della scuola di Niel in Francia, e il paradosso vero è che “io sono emigrata in Francia per studiare, perché qui in America non ce la facevo, costava troppo”, ci dice mentre ci porta in giro per la scuola e sono tutti emozionati che per la prima volta arriva “il nostro benefattore”, come viene chiamato Niel. “C’è un vero problema di accesso allo studio” dice Bir: “Sai a quanto ammonta il debito degli studenti in America? 1,16 trilioni di dollari, più dell’intero indebitamento nazionale nelle carte di credito”. “E solo il 10 per cento degli studenti delle migliori università americane viene da famiglie povere”.

Bir, come molti degli studenti qui, non ha un background matematico (anzi, è laureata in Spagnolo, e poi ha un master in Studi europei), perché il “coding”, cioè la programmazione, ha più a che fare con la logica (e molti qui hanno fatto studi classici, o nessuno studio). Lei abita a Palo Alto, qua vicino, si è portata il marito francese che ha incontrato a Parigi e nel frattempo sposato, e lui naturalmente sta pensando a una sua startup tecnologica qui in Silicon Valley. Ci aggiriamo in una sala enorme con dei computer ancora da installare; “sono 1.024 Mac in tutto, ma non per il marchio Apple, perché consumano meno energia e scaldano meno”, dice. L’anno scolastico è partito ufficialmente da pochi giorni, fino ad ora ci sono state le “piscine”, cioè una serie di test full immersion che mettono alla prova gli studenti, un mese con 15 ore di test al giorno, che solo i migliori superano. Poi facciamo un giro nella parte dormitorio e mensa, e sembra di essere in uno di quei film generazionali americani, solo che mancano i palestratoni bulli, ci sono solo i nerd, e nessuno li bullizza, anzi. Passano dei rasta, degli spilungoni, uno coi capelli gialli, un asiatico con un cappello da babbo natale, e le battono il cinque, alla preside. “Ci sono 300 posti letto, e presto raddoppieremo per arrivare a 600”, dice lei. Tutto gratis. Sale da palestra e ping pong, un piccolo cinema. Alla mensa oggi hanno proposto costolette di maiale e noodles, c’è un tavolo a cui si parla francese, con una rara femmina più dark e tatuata – anche qui, come in tutto l’ecosistema siliconvallico le femmine sono in minoranza. “Qui nella scuola sono il 15 per cento”, dice la preside 2.0. “Ragazzi, ne volete ancora?”, chiede il cuoco, e uno con la maglietta del San Francisco, “ma sì, cazzo!”.

Poi andiamo verso il campus principale perché sta per arrivare Niel. La cosa sconvolgente, che è il segreto forse di quel mix strano californiano, tra Corsa all’Oro, retaggi di cultura hippy e aria di mare, il tutto spalmato su transistor e algoritmi, è che gli umani sono socievoli come dei buoni selvaggi. I ragazzi vengono incontro al cronista straniero, lo salutano, sono loro che chiedono chi sei, che fai. Michael ha 28 anni, è russo, di Mosca, ha una laurea in Fisica, aveva un buon lavoro ma poi ha scoperto questa scuola 42 e l’ha lasciato, però non voleva andare a Parigi, “saranno così svegli da capire di aprirne una in Silicon Valley, ho pensato”, e così è stato. E’ il più bravo di tutta la scuola. Il suo idolo è Elon Musk, il fondatore di Tesla, quando ne parla gli si illuminano gli occhi, acquosi come quelli dei russi dei romanzi. Cameron, 22 anni, invece, è di qui: “Io sono stato abbastanza fortunato da avere una famiglia che mi mantiene. Però è vero, da noi passi la vita a pagare il debito universitario”.

Clarence, 22 anni, si muove a fatica perché si è fatta male giocando a basket; è del Camerun: “Ho letto su Internet di questa scuola”, ha superato i test online che sono totalmente destrutturati, “sono test di memoria e logica, puoi anche non capire niente in matematica”, poi è stata ammessa alla Piscina, è ancora devastata, “la cosa più difficile che ho fatto nella mia vita, esercizi ogni giorno, si comincia alle 8.42 e devi consegnare spaccando il minuto alle 11.42 di sera” (il 42 ossessivo è un vezzo, il nome deriva dal romanzo di fantascienza di Douglas Adams, “Guida galattica per gli autostoppisti”, in cui “42”è la risposta alla “grande domanda sulla vita, l’universo e tutto il resto” risponde Bir come un mantra). Il sistema escogitato da Niel è che non ci sono professori che correggono, bensì lo fanno i tuoi compagni, è un “peer to peer”, e si incrociano i compiti online, tu non sai chi ti sta correggendo quindi non puoi avere favoritismi. E’ una scuola senza professori, senza esami, che non rilascia diplomi formali. Soprattutto, per entrarci non è necessaria la maturità né curriculum. Unici requisiti: avere tra i diciotto e i trent’anni, una mente non cialtrona, la disposizione a lavorare anche quindici ore al giorno davanti a un Mac. Per tre anni: l’unica scuola gratis della Silicon Valley dura tanto: il primo si lavora sul sistema C/C++, il secondo su altri linguaggi come Sql e Java. Il terzo su applicazioni mobili e reti. Come poi nella casa madre francese ci sono due anni opzionali, che sono centrati sulla creazione della propria impresa e su progetti innovativi.

Il motto della scuola è “born to code” e punta a formare una nuova generazione di programmatori. Ma ora arriva, eccolo, Niel, che stranamente non ha la solita camicia bianca ormai sua uniforme, ma una polo blu, dei jeans pure blu e delle scarpe a punta. Fa delle facce molto strane, è un misto tra Depardieu e Bruno Vespa. E’ con la fidanzata, Delphine Arnault, figlia dell’uomo più ricco di Francia, che tiene in mano una borsa Vuitton (del resto Vuitton è loro, intesa come marchio, insieme ai tanti di Lvmh). Questo accoppiamento bizzarro fa parte dei contrasti del personaggio Niel (nato ribelle antisistema, odiatore delle élite, si fidanza con la principessa reale di Francia, chissà che dinamiche: lei ha un’aria sicura, come di chi si può permettere questo strano fidanzato, pur potendo avere toy boy siderali, chissà che complessi edipici). E fa un po’ impressione veder arrivare questi due che insieme varranno mezzo pil francese, senza scorta, senza limousine, o forse sì, con un africanone grossissimo con la felpa della scuola e il cappuccio (ma no, è l’altro responsabile del college, il signor Kwame Yamgnane). Niel si butta in mezzo agli studenti. Il Foglio è l’unico giornale ammesso, lui è qui per un suo viaggio d'affari californiano, è la prima volta che incontra i suoi studenti americani. Si scusa di non parlare inglese ma poi invece lo parla pure bene. Gli consegnano una targa e però lui è abbastanza ironico da evitare l’effetto-Fantozzi, con gli studenti-dipendenti adoranti in sala mensa. Fa le domande: “Chi dorme qui e chi viene da fuori?” Loro rispondono, si rilassano: qualcuno dice che dormiva anche nelle tende, ai tempi della Piscine. “Ah, oddio, ma non avevate freddo?”. Vi piace studiare qui, chiede, e loro dicono sì, “ma lo dite perché ci sono qui io o sinceramente?”.

Poi, più serio: “42 è una scuola che fa partire tutti allo stesso livello. Il problema, in Francia come in America, è che gli studenti arrivano nelle migliori carriere non perché sono i più talentuosi ma perché hanno fatto le migliori università, e la scelta dell’università dipende da che mestiere facevano i loro genitori, non ha niente a che vedere col talento”. Niel ha passato la vita a combattere contro “les enarques”, i figli di papà dell’Ena, la Bocconi francese, lui nato nella banlieue parigina. “Il successo di questa scuola è invece di mischiare i ceti sociali, e voi non avete idea dell’effetto che fa. Esplosivo” dice oggi al Foglio. “E ancora più esplosivo quando metti queste persone poi nelle aziende”. A chi lo accusa di aver messo su una scuola quadri, di investire in formazione per poi prendersi i migliori nelle sue aziende dice che “questa cosa me l’hanno rinfacciata anche in Francia, veramente su 1.000 studenti ne prendiamo 3 all’anno, quindi non sarebbe un’idea molto conveniente per me”. In realtà poi, come a Parigi la scuola ospita spessissimo conferenze-incontri con gli investitori e fondamentali imprenditori digitali, che si litigano i nipotini di Niel. “Siamo sempre alla ricerca di professionalità che escono da scuole come 42” ha detto qualche tempo fa Jack Dorsey, numero uno di Twitter.

I nerd brufolosi di Niel saranno assorbiti dalla SIlicon Valley in un nanosecondo. Loro si fanno dei gran selfie col loro mentore, gli fanno delle domande. Qual è la startup in cui avrebbe voluto investire? “Snapchat”, dice lui, “così almeno guadagno un po’ di soldi”. Poi un altro gli dice, senta signor Niel, ce l’avrei io un’idea buona di startup, e come si potrebbe fare per presentargliela”, e Niel dice: “Ma questa non è una domanda!”. “Qual è il suo business plan?”, gli chiede un altro studente mediamente brufoloso (gli studenti sono un po’ intimiditi da questo loro benefattore francese effettivamente esotico). “Non c’è un business plan, state tranquilli, non c’è trucco e non c’è inganno” dice Niel. “Semplicemente” continua, “ho voluto ridare indietro un po’ di quello che ho avuto. Non so se lo sapete, ma ho fatto un bel po’ di soldi in Francia, e in America, ed ecco che mi sono chiesto, come posso ridare indietro un po’ di questa fortuna”. “Lo so che per voi americani sembra strano, ma è così!”. E poi prende, saluta tutti, va a visitare i dormitori, e poi riparte per delle misteriose tappe d’affari, col codazzo: lui con la pancia e la polo blu, la Arnault bionda e regale, la finta guardia del corpo, accompagnati da un paio di studenti nerdissimi, e una assistente molto chic e stazzonata il giusto, francese, anche lei tutta Vuitton. Sembrano un gruppo french touch in tour, o il cast di un film di Guadagnino.

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