Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni (foto LaPresse)

A esecutivo fatto ecco il dilemma di Gentiloni

Mario Sechi

La foto del giuramento al Quirinale è un capolavoro involontario, il racconto di tutto, scena e retroscena, il vero e unico fatto istituzionale notevole in uno scatto che è una biografia collettiva

Santa Lucia

Abbiamo un governo. E manca tutto il resto, signora mia. L’esecutivo Gentiloni è un fenomeno paranormale con le porte girevoli, le figurine escono dalla porta principale e rientrano dallo scantinato, confermando che il “continuismo” in Italia ha la forza di un’ideologia, perfino in un’èra che avrebbe voluto essere rottamatrice e ha finito per demolire se stessa. Svanito l’acme da crisi di governo, la faccenda assume le sembianze proprie, senza il belletto dell’adrenalina post voto, appare chiarissimo il dilemma di Gentiloni: essere (se stesso) o non essere (Renzi).

La foto del giuramento al Quirinale è un capolavoro involontario, il racconto di tutto, scena e retroscena, il vero e unico fatto istituzionale notevole in uno scatto che è una biografia collettiva: al centro, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, regista impassibile in una scena che fino all’altro ieri pareva impossibile; alla sua destra, il manichino di Angelino Alfano, lo sguardo pietrificato, già in piena fase foreign affairs, folgorato sulla via della Farnesina; alla sua sinistra, c’è il neo presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni: il premier da torta nuziale, indossa una cravatta viola che a teatro porta sventura ma nel caso del nostro è tonalità che innesca memoria di papi, cardinali, vescovi, un afrore di sacrestia e incrollabile fede che in questa storia aiuta; in posizione inversamente proporzionale alla delega ricevuta (fondamentale nel quadro della crisi italiana, lo Sport) c’è Luca Lotti, piazzatissimo al fianco di Gentiloni, a simboleggiare la conservazione di tutto quello che era prima del rovescio del 4 dicembre, il braccio destro (e sinistro) di Renzi, oggi prolungato sul nuovo nobile conducator; un passo più in là, c’è la sagoma di Claudio De Vincenti, ha fatto l’upgrade a ministro, un cyborg dal volto umano, in realtà è molto di più, è il supremo orologiaio del nuovo gruppo, quello che sa, conosce, dispone, scandisce; infine, rullo solenne di tamburi, c’è un’assenza che assume il carattere assoluto dell’immanenza, Maria Elena Boschi. Sarà lei a tracciare ogni giorno la mappa del governo, è il navigatore del pilota. Senza, si va a sbattere. Non è un bis del Matteo, è qualcosa di più: il raddoppio del renzismo espresso paradossalmente nel momento in cui rischia di implodere. E come Laura, Verdini non c’è. Come faranno? Wait and see, cercare indizi in casa di Berlusconi, please. nel frattempo, là fuori succede di tutto. Seguite il titolare di List.

Unicredit taglia 14 mila posti. Fatto il governo, ecco il reale problema dell’Italia, la cassa. Unicredit oggi presenta al mercato il suo piano di ristrutturazione e rilancio che prevede il taglio di 14 mila posti di lavoro, un aumento di capitale da 13 miliardi, cessioni e accorpamenti. La banca più internazionalizzata d’Italia si fa ristretta come un espresso. Le mani dei francesi si stanno allungando e la scelta di Jean Pierre Mustier come capo di tutto oggi appare un piano preciso, un percorso che conduce a Parigi. Il risparmio gestito di Pioneer è passato ai francesi di Amundi. C’è una tempistica da Signori del Caveau che apre tutto un mondo di dettagli dove si annidano piani di acquisizione, fusione, incorporamenti, scalate dirette e indirette, la vera essenza del potere: la cessione di Pioneer a Amundi viene comunicata dopo il referendum, a caso politico chiuso, Renzi out, si apre lo shopping sicuro nel regno totale dell’incertezza. Poste al tappeto, ko. Molto altro seguirà e i rumors ne illuminano anche le fauci grosse nel buio, sono quelle di Société Générale. Questo è il punto di caduta della storia della seconda banca italiana, è una preda nel mirino della Francia e sembra destinata – come ha scritto Marco Cecchini sul Foglio – a diventare “un distributore di prodotti finanziari altrui”.  Tutto il gioco di scacchi che non convinceva l’ex amministratore delegato Ghizzoni, si sta compiendo, i pezzi dove si cela futuro e si legge redditività vengono ceduti uno dopo l’altro. Finirà così? Commento di una fonte che pencola tra Roma e Parigi al titolare di List: “A pensare male non si fa Pekao”. Touché.

La terza banca. Il Monte dei Paschi è nel limbo, tra la ricapitalizzazione per via privata e la nazionalizzazione con relativo mini bail-in in arrivo per azionisti e obbligazionisti. Che succede a Siena? Aspettano. Cosa? Il sì o no del fondo del Qatar. Il destino della più antica banca del mondo, simbolo della nascita della borghesia mercantile in Europa, è in mano agli emiri. Anche questo è un segno dei tempi. La Borsa segna più, ma il bilancio per il paese è meno.

Il petroliere. Trump ha fatto la sua scelta per il Dipartimento di Stato, è un petroliere: Rex Tillerson, capo della Exxon. Sul mercato della geopolitica, difficile battere un petroliere. Grande dibattito sull’ultima scelta di The Donald. Una cosa è certa, a Foggy Bottom arriva un’arma diplomatica non convenzionale.

 

A tutta birra. Il Giappone fa shopping nell’editoria blasonata d’Europa (Nikkei ha comprato il Financial Times), nell’industria storica delle strade ferrate (Ansaldo acquistata da Hitachi) e anche in settori meno battuti dai media ma ricchi, importanti e protagonisti dello scenario del consumo di massa. Un esempio? La birra. Il gruppo Asahi ha acquistato dalla InBev una serie di marchi storici della birra - tra i quali la mitica Pilsner Urquell - per la modica cifra di 7.8 miliardi di dollari. Asahi in Italia ha comprato la bionda storica, la Peroni.

13 dicembre. Ultima missione dell’uomo sul suolo lunare: è il 1972, due astronauti del programma Apollo 17, Eugene Cernan e Harrison Schmitt, cominciano la sesta e ultima attività extraveicolare sulla Luna.

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