Bartleby lo scrivano (e altri racconti)

Alessandro Litta Modignani

Herman Melville
Bompiani, 175 pp., 10 euro

Torna in libreria uno dei più celebri racconti della letteratura classica americana, in una nuova edizione curata da Alessandro Roffeni. Pubblicato per la prima volta nel 1853, Bartleby lo scrivano non ebbe all’epoca il successo che meritava, e che avrebbe riscosso solo molti decenni più tardi: troppo introspettivo e psicologico, troppo moderno e “kafkiano” ante litteram, per i tradizionali canoni della letteratura ottocentesca. Recava il sottotitolo “Una storia di Wall Street”, infatti i muri svolgono una funzione simbolica essenziale, nell’economia del testo. Un tramezzo divide i bizzarri impiegati Turkey e Nippers, un paravento separa il narratore dall’enigmatico protagonista, il quale a sua volta fissa un muro dall’unica finestra della stanza, che si affaccia su un cavedio. Di domenica, Wall Street è “deserta come Petra”. L’epilogo verrà al cospetto del muro di una prigione. L’introverso Bartleby è irrimediabilmente affetto dal male di vivere. La sua esistenza è incompatibile con l’universo intero, il suo rifiuto a interagire con la realtà è insuperabile e invincibile. Alla richiesta di svolgere le mansioni per cui è stato assunto, egli oppone con garbo e fermezza la celeberrima allocuzione: “Preferirei di no”, parole che lo hanno reso immortale nella storia della letteratura. In realtà, quella del giovane scrivano non è una preferenza, ma il grido disperato e muto di chi è impossibilitato a ricoprire qualsivoglia ruolo, nel mondo dei vivi. Bartleby è espressione di una alterità irriducibile: egli non è un “emarginato” (concetto assai più caro alla cultura europea e marxiana) bensì un “marginale”, che si autoesclude prima dalla società, poi dall’esistenza. Contrariamente a Turkey e Nippers, che “funzionano” uno al mattino l’altro al pomeriggio, e dunque danno vita a una struttura operativa complementare, il bonario narratore e l’ermetico protagonista incarnano l’allegoria di un conflitto insanabile, impossibile da risolvere se non con la destrutturazione di ogni rapporto, fino all’autodistruzione e alla morte. Negli altri quattro racconti, Melville ricorre spesso all’espediente del narratore anziano, apparentemente dotato di buon senso e solido equilibrio. Ma – avverte Rofeni – l’autore non ci chiede di identificarci in loro, al contrario “ci invita a guardare al di là dello schermo ingannatore (anche nei confronti di se stessi) dei loro sproloqui e delle loro perorazioni interessate”. Peccato che dalla raccolta manchi Benito Cereno, altro celeberrimo personaggio dell’universo melvilliano, malinconico comandante di una nave in cui in realtà è prigioniero dei suoi selvaggi ospiti. Perfetta metafora dell’uomo occidentale contemporaneo.

 

BARTLEBY LO SCRIVANO
(e altri racconti)
Herman Melville
Bompiani, 175 pp., 10 euro

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