Meditazioni sullo scorpione

Roberto Paglialonga

Sergio Solmi
Adelphi, 157 pp.,12 euro

L’uomo è fatto per desiderare la felicità? Di fronte all’evidenza di una domanda che potrebbe apparire retorica, in realtà nulla è scontato. Sergio Solmi era convinto che “l’esistenza individuale […] è una macchina complessa e contraddittoria di compensazioni”. E che, quindi, essa “non aspira alla felicità. Sembra aneli soltanto a un difficilissimo equilibrio fra un certo numero di falsi scopi”. Certo, l’esistenza è mistero. L’uomo si fa strada a tentoni nell’inconoscibilità del sé annaspando tra la sete di salvezza e la tentazione dell’abisso. Ma è davvero tutto qui?

Occorre perdersi in questa raccolta di prose, ormai classica, uscita nel 1972 e ora ripubblicata, alla quale Solmi – famoso in particolare per le sue poesie e i suoi saggi letterari – ci introduce, seguendo una traiettoria storico-biografica che va dagli anni venti ai settanta del Novecento, per rintracciare – nella selva dell’ambivalenza, che è spesso la vita – l’illuminazione chiarificatrice. “Ragazzo del ’99”, rietino, giurista vocato alle lettere, e funzionario alla Banca commerciale italiana, vide e visse la guerra, della quale – accompagnato da Piero Gobetti, che ne seguì i passi all’interno della rivista “La Rivoluzione liberale” – divenne un acerrimo oppositore. Una bestia, la guerra, dalle forme scorpioniche con “immense mandibole” che “sembrano sgretolare d’ora in ora il mondo”. Occorre avventurarsi in uno stile altissimo intriso di pessimismo e di drammaticità nicciana, tra l’aforisma asciutto e il racconto onirico simil-borgesiano, nel quale all’abbaglio degli infiniti destini possibili fanno da contraltare le ramificazioni dell’implacabile esistenza reale; o tra le fantasie fanciullesche scatenate dallo studio delle carte geografiche, e dai numerosi mondi da esse spalancati, e le contemplazioni poetiche sulla morfologia dei segni zodiacali e le loro proprietà più o meno verificabili; fino ai saggi di critica tagliente contro le “multiformi e squallide meraviglie” di una “civiltà eguagliatrice, interscambiabile, asettica e ‘inodora’ del domani”. E si capisce che non è tutto qui. Rimane l’identità umana. Perché “nessuno è se stesso ma il flusso d’un passato personale”, che diviene presente e quindi avvenire. Eccolo l’uomo, che possiede lo strumento sublime per capire, l’arma capace di affossarlo o di redimerlo: non è l’aculeo velenoso e mortifero del prolungamento caudale dello scorpione – insetto “razionale” e ambivalente per eccellenza al quale Solmi intitola il libro – ma il cuore. Il centro direzionale del naturale discernimento, dal quale sprigionano le passioni che, sole, “possono farci veramente conoscere qualcosa di noi”, e pazienza se oggi queste siano divenute tifo da curva (più o meno social), ché del “patire” generativo di qualcosa di più grande vi è sempre meno traccia, tanto nella vita pubblica che privata. Rimane l’attrattiva insondabile del desiderio. “Il mondo-prato, il mondo-festa”, dal quale sarebbero addirittura “assenti la noia e il dolore”, appartiene alle fluide costruzioni del contemporaneo, ma non può soddisfare. Perché la pienezza si colma “da una carenza”, sofferta, come l’intelligenza che “nasce dal bisogno”. Eccola allora l’omerica fiamma della ricerca. E’ vero, talvolta “l’uomo è uno specchio che si fa chiaro soltanto con la morte”, ma se non valgono le anestesie delicate e ipocrite che la società oggigiorno propina per evitare che il reale con il suo “essere” si imponga, almeno vale la pena mettersi in caccia. Perché “solo l’umana mai disattesa speranza che cova attraverso i millenni nei sonnolenti mesi invernali può assicurarci della resurrezione”. Detto con tutta l’imparzialità di un homo laicus come Solmi, conviene pensarci. E così sia.

 

MEDITAZIONI SULLO SCORPIONE
Sergio Solmi
Adelphi, 157 pp.,12 euro

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