
La cortina di ferro
Anne Applebaum
Mondadori, 640 pp., 32 euro
Sulla nascita e lo sviluppo del bolscevismo in Unione sovietica esistono biblioteche infinite, mentre l’affermazione del comunismo nei paesi della cosiddetta “Europa dell’est” è stata meno studiata. Tant’è vero che – osserva Anne Applebaum, giornalista americana naturalizzata polacca, alle spalle un monumentale studio sui Gulag, premio Pulitzer nel 2004 – nel vuoto di ricerche c’è stato spazio perfino per affermare che sarebbe stata l’“aggressiva retorica” dei fautori della Guerra fredda che “avrebbe ‘costretto’ il leader sovietico a serrare la morsa sulla regione”. “Un esame approfondito di ciò che concretamente accadde nella regione tra il 1944 e il 1947 – replica Applebaum – rivela la fallacia di queste argomentazioni”. E’ vero infatti che nei paesi occupati dall’Armata rossa rimasero per qualche tempo alcuni tratti di un sistema politico liberale: “Fattorie, imprese e attività commerciali private sopravvissero per tutto il 1945 e il 1946, qualche giornale indipendente continuò a uscire e qualche chiesa rimase aperta. Ma tutto questo non avvenne perché i sovietici e i loro alleati fossero dei democratici di idee liberali”, bensì solo per ragioni tattiche. I dirigenti comunisti erano infatti convinti che rapidamente la maggioranza dei lavoratori “avrebbe capito il suo destino storico e votato per un regime comunista”. Il problema è che “si sbagliavano. Nonostante le intimidazioni, la propaganda e persino la reale attrazione che il comunismo esercitava su alcuni, i partiti comunisti persero le prime elezioni” quasi dappertutto.
“Di conseguenza, i comunisti ricorsero alle tattiche più drastiche già impiegate in Urss: nuove ondate di arresti, l’espansione dei campi di lavoro, un controllo molto più stretto su media, intellettuali e arti”. In alcuni paesi le autorità si spinsero fino a montare processi farsa in stile prettamente sovietico, e dovunque si impegnarono sistematicamente per cancellare tutte le organizzazioni indipendenti superstiti, sottoporre a controlli molto più rigidi l’educazione, eliminare l’influsso delle chiese. Nonostante tutti gli sforzi, “avrebbero di nuovo fallito”: dopo la morte di Stalin, nel 1953, in tutta la regione si assistette a una serie di piccole e grandi sollevazioni; nel ’56 grandi rivolte scoppiarono in Polonia e Ungheria. Il libro di Applebaum racconta, con dovizia di particolari da fonti di prima mano, la storia del tentativo del nuovo potere di assumere fra il 1944 e il 1956 il controllo totale della società, e di come ovunque ci siano stati uomini e donne che hanno resistito, rifiutando il dominio della menzogna e cercando come potevano di conservare un minimo di dignità.
LA CORTINA DI FERRO
Anne Applebaum
Mondadori, 640 pp., 32 euro

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