La rivoluzione francese

Roberto Persico
Jonathan Israel
Einaudi, 952 pp., 42 euro

    Sono passati due secoli abbondanti, ma ancora “non abbiamo una teoria generale stabilita su che cosa fu e perché avvenne la Rivoluzione francese”. L’interpretazione marxista basata sui conflitti di classe, che ha tenuto banco per buona parte del Novecento, è stata smentita: “non è stata identificata nessuna forma di rilevante pressione socio-economica che abbia potuto provocare un cambiamento così repentino e sensazionale”, e anzi “nel corso del XVIII secolo il reddito pro capite aumentò e l’agricoltura prospera-va”. Ma la lettura minimalista che l’ha sostituita, per cui “non ci fu una causa sociostrutturale primaria, bensì solo un quadro di cause relativamente minori se considerate in se stesse, non è nemmeno lontanamente plausibile”. Dopo due secoli abbondanti, allora, forse è il caso di tornare all’origine. “Tra il 1788 e il 1820 - osserva Jonathan Israel, docente a Princeton, autore tra l’altro di una monumentale storia dell’Illuminismo radicale – il modo più comune di spiegare la Rivoluzione francese era, quasi all’unanimità, che essa fosse nata dalla ‘filosofia’. La domanda da porsi è la seguente: l’ipotesi che prevaleva in epoca rivoluzionaria era effettivamente corretta?”. La risposta, va da sé, è affermativa: “Prima che potesse esserci una rivoluzione di fatto, era necessaria una ‘rivoluzione delle idee’, come in effetti accadde dagli anni Quaranta del Settecento al 1789. Fu questa rivoluzione ad aprire la strada alla ‘rivoluzione degli eventi’, ne fu il motore e la forza plasmante”. Se la chiave di lettura proposta è semplice, la documentazione che Israel ne offre è tutt’altro che superficiale. Utilizzando sistematicamente una gran quantità di fonti primarie non sempre sufficientemente esplorate, come gli archivi delle assemblee nazionali, della municipalità di Parigi e del club dei giacobini, il libro ricostruisce un quadro estremamente dettagliato dei dibattiti che hanno accompagnato il processo rivoluzionario, documentando due tesi di fondo. Primo: nel 1789, i tratti fondamentali della società nuova, erano già chiaramente definiti: si trattava solo di realizzarli. Secondo (e più significativo, e destinato inevitabilmente a far più discutere): quei princìpi non erano autoritari, e il Terrore non ne fu il compimento, bensì il tradimento. “Bisogna rifiutare la tesi di François Furet che attribuisce alle origini e ai princìpi di base della rivoluzione connaturate inclinazioni totalitarie e un latente pensiero illiberale”: l’Illuminismo radicale, che propugnava l’uguaglianza e la volontà generale, era democratico.


    LA RIVOLUZIONE FRANCESE
    Jonathan Israel
    Einaudi, 952 pp., 42 euro