Egemonia vulnerabile

Roberto Raja
Gian Enrico Rusconi
il Mulino, 172 pp., 14 euro

    C’è chi ha esultato a dispetto delle euroburocrazie, quando il Regno Unito ha detto Brexit, chi si è rammaricato dei sogni europeisti perduti, chi ha stramaledetto gli inglesi (quegli inglesi) vedendo precipitare i listini di Borsa. Prima o poi, però, si è finiti a volgere lo sguardo un poco più in là, nella certezza che archiviata la “questione britannica” se ne riapra puntualmente un’altra, più familiare. Un’Europa senza il Regno Unito sarebbe automaticamente un’Europa più tedesca, sosteneva mesi prima del referendum Robin Niblett, direttore di Chatham House, il think tank londinese di affari internazionali. Ecco la vecchia questione, o almeno una sua faccia: i tedeschi e il loro “dominio senza cuore”, nelle parole di Giulio Sapelli pochi giorni dopo la consultazione elettorale britannica: “Prenderanno il comando (…). L’interesse nazionale continuerà a venire prima di quello dell’Unione”. O ancora, leggendo Limes: la Francia sarà costretta dalla Brexit “a cercare nuovi antidoti per bilanciare l’egemonia riluttante della Germania”. Attribuire alla Germania una “egemonia riluttante” (conio fortunato dell’Economist di qualche anno fa) è un buon passo per capire lo stato attuale della “questione tedesca”. Gian Enrico Rusconi, che pure lo spiega con le parole dell’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer (“Ci siamo svegliati e improvvisamente ci siamo accorti di avere un ruolo da leader, almeno in Europa, ma senza averne la voglia”), fa un altro passo avanti e definisce quell’egemonia “vulnerabile” rispetto alle grandi sfide degli ultimi anni (pre-Brexit): il duro confronto con la Russia di Putin dopo la crisi di Crimea, l’apertura ai profughi, l’ostinata politica del rigore nei confronti delle cicale europee. La riluttanza, che si esercita più sul piano politico che su quello economico, è la “colpa del passato” che obbliga a un atteggiamento di rigido disimpegno sul piano internazionale. La vulnerabilità ha analoghe radici storiche: “Sono i ricordi storici, infatti, che rendono sospettosi e diffidenti verso la Germania (…). I membri dell’Unione europea accettano solo un egemone vulnerabile, che ritengono in ogni caso di poter frenare”, è la tesi del politologo Herfried Münkler citato da Rusconi. Ma l’analisi del libro è più articolata, perché prende in esame diverse voci del dibattito storico-politico degli ultimi anni in Germania e perché parte da lontano, dal cancellierato di Otto von Bismarck, dalla sua ambivalente politica interna nel segno di un conservatorismo progressista (dall’introduzione del suffragio universale alle leggi contro i socialisti) e dalle sue visioni geostrategiche, maturate dal presupposto di una Germania troppo piccola per l’egemonia in Europa e troppo grande per l’equilibrio del Vecchio continente. Un paradosso, declinato anche più semplicisticamente nel corso degli anni nella formula “troppo piccola per il mondo, troppo grande per l’Europa”, nato dopo l’unificazione del 1871 e tornato d’attualità con la riunificazione del 1990. Tanto che un altro storico, Hans Kundnani, individua una somiglianza strutturale tra la posizione della Germania odierna e quella del Reich bismarckiano, classificando entrambe come una “semiegemonia”. Anche se poi, avverte Rusconi, Angela Merkel, ovvero la persona etichettata talvolta come “cancelliera di ferro”, “non ha certamente Bismarck tra i suoi modelli di riferimento, bensì Adenauer e Kohl” (basti pensare a cosa non avrebbe fatto Bismarck con Mosca di fronte alla crisi ucraina). Troppo piccola, troppo grande. Forse è proprio il persistere di quel dilemma, a patto di mettere tra parentesi la sua metastasi rappresentata da almeno una guerra mondiale, a rendere affascinante l’identità storico-politica della Germania.

     

    EGEMONIA VULNERABILE
    Gian Enrico Rusconi
    il Mulino, 172 pp., 14 euro