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lettere al direttore

La guerra giusta esiste ed è quella che serve all'autodifesa. Papa Leone XIV lo sa

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il motto “se vuoi la pace, prepara la guerra” non convince Gustavo Zagrebelsky, che su Repubblica scrive: “Chi si prepara alla guerra dicendo che lo fa per evitarla, in realtà è disposto a farla, e se è disposto, la farà”. Altrimenti, chiosa Zagrebelsky, “dove starebbe la deterrenza?”. Dunque, si vis pacem, para bellum sarebbe, a suo parere, “un motto mentitore”. Se così fosse, però, non avremmo avuto decenni di pace garantiti proprio dalla corsa agli armamenti messa in atto dagli Stati Uniti d’America in risposta alla parallela e crescente potenza militare dell’Unione sovietica. Washington decise di volere la pace e la ottenne preparandosi alla guerra. Una guerra che era disposta a fare, se necessario, ma che pure non fu costretta a scatenare proprio grazie alla deterrenza ottenuta armandosi fino ai denti. Gli Stati Uniti, dunque, garantirono 80 anni di pace proprio preparando la guerra. E’ la storia, in definitiva, a dare torto a Zagrebelsky.

Luca Rocca

 

Ieri, su questo tema, Leone XIV ha offerto qualche riflessione interessante. Il Papa ha osservato come “nel rapporto fra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze”. Ha detto che questa è una logica “contrappositiva” che va “molto al di là del principio di legittima difesa” e sul piano politico alimenta la “destabilizzazione planetaria” che va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità e imprevedibilità. E infine ha detto: “Non a caso, i ripetuti appelli a incrementare le spese militari e le scelte che ne conseguono sono presentati da molti governanti con la giustificazione della pericolosità altrui”. Un Papa, naturalmente, non può non augurarsi che vi sia un mondo con meno armi, con più pace, con meno guerra. Ma da buon agostiniano Papa Leone XIV sa che nella dottrina dell’amato sant’Agostino, la guerra giusta esiste, esiste anche per la Chiesa. E nel Catechismo della Chiesa (paragrafo 2.309 del documento dottrinale pubblicato nel 1992 sotto Giovanni Paolo II), il concetto viene esposto ancora con più chiarezza. Per essere giusta una guerra deve essere un atto di “autodifesa”, in cui l’intervento deve avvenire solo dopo il fallimento di altri mezzi per fermare un danno “duraturo, grave e certo”. E per essere giusta, l’intervento deve avere “serie possibilità di successo” e non portare a “mali o disordini più gravi del male che si propone di eliminare”. Il riarmo è da condannare, certo, ma se serve a difendersi da chi si sta armando ancora di più chissà che anche quell’atto di difesa non possa non considerarsi un po’ agostiniano.

   


 

Al direttore - Nel nuovo disordine globale l’Europa non può più permettersi il business as usual. La scelta di unificare il continente ha implicazioni geopolitiche, economiche e democratiche profonde e richiede riforme all’altezza del tempo che viviamo. L’allargamento ai Balcani occidentali e, in prospettiva, all’Ucraina è una prova di verità. Misura la capacità dell’Ue di esistere come potenza sovrana e democratica in un mondo in cui i rapporti di forza non attendono i tempi dell’indecisione europea. La guerra di aggressione russa ha cancellato l’illusione di un’Europa fondata su equilibri e rinvii: un’Europa esitante è un’Europa vulnerabile. Da qui nasce una constatazione inevitabile. Un’Ue che fatica a funzionare a 27 stati membri non può reggere a 30 o 35 senza riformarsi. L’allargamento, senza cambiamenti profondi, rischia di diventare un moltiplicatore di fragilità e un acceleratore di irrilevanza. Illudere paesi candidati e cittadini europei che l’allargamento possa avvenire senza riforme significa rinviare il problema, non risolverlo. Per questo l’Europarlamento ha deciso di rompere l’ambiguità, approvando a larga maggioranza il rapporto che ho proposto sulle conseguenze istituzionali dell’allargamento, che afferma un principio politico chiaro: l’Europa deve diventare una potenza sovrana se vuole restare un attore credibile della storia. Una potenza sovrana non può essere ostaggio dell’unanimità, del veto e dell’inerzia che trasformano le crisi in paralisi. La risposta è innanzitutto politica. Significa consentire agli stati che lo vogliono di avanzare più rapidamente in settori strategici come difesa e sicurezza, utilizzando strumenti già previsti dai trattati, come le cooperazioni rafforzate. Non per dividere l’Europa, ma per evitarne il logoramento imposto dall’immobilismo. Superare l’unanimità, riformare il bilancio europeo, rafforzare il Parlamento e la democrazia transnazionale, costruire una capacità di difesa integrata non sono dettagli tecnici. Sono le condizioni minime per un’Unione più efficiente, democratica e autonoma. Ora la responsabilità passa ai governi. Vogliono un’Europa che decide e protegge i suoi cittadini, o un’Unione paralizzata da veti e paure? Il tempo delle ambiguità è finito. L’Europa che non decide non sarà mai una potenza. Quella che decide può ancora diventarlo.

Sandro Gozi, eurodeputato Renew Europe/Democratici Europei

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