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lettere al direttore
Il garantismo a metà dei giornali di destra spiegato dal caso Mogherini
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - I francesi giudicano i cugini belgi dei ritardati mentali. La considerazione vale anche per le procure di quel paese: sono arrivati alla prassi di Mani pulite con trent’anni di ritardo.
Giuliano Cazzola
La battuta è buona. Ma a questo punto, a proposito di risate, ci ricordi anche lei di sganasciarci la prossima volta che i giornali di destra si autodichiareranno garantisti. Garantisti con i loro amici, giustizialisti verso tutti coloro che odiano. Dai burocrati europei fino agli eroi ucraini. Tutti colpevoli fino a prova contraria. Essere garantisti a metà è come essere parzialmente incinta. O lo si è o non lo si è. Ed esserlo significa considerare l’ex commissario Mogherini non una “biondina” (titolo della Verità di ieri) colpevole fino a prova contraria, ma un individuo innocente fino a prova contraria.
Al direttore - A Montepulciano è rinato il “correntone”. Il primo lo conoscemmo al congresso dei Ds nel 2001, dopo il voto in cui un Berlusconi in gran forma travolse i progressisti. Non ebbe fortuna quell’assemblaggio di gruppi fieri di dichiararsi radicali e nettamente ostili a dirsi riformisti. E’ trascorso un quarto di secolo ma, come ha scritto Hegel e ha cantato Sting, la storia non ci insegna niente. L’obiettivo della riunione di Montepulciano è consistito nella riconferma della fiducia verso la segretaria da parte dei gruppi che l’avevano sostenuta tre anni or sono. Riconferma che si è accompagnata a una richiesta da parte del “neo correntone” che andrebbe riassunta nei seguenti termini: cara Elly, non puoi pensare di continuare a dirigere il partito facendo affidamento solo su un gruppo di fedelissimi, ci siamo anche noi che, non lo si dimentichi, fummo essenziali per farti eleggere. Considerato che le elezioni e la scelta delle candidature si avvicinano era il caso, per i “neo radicali” del Pd, di mettere le mani avanti. E lo hanno fatto. Chi ha a cuore le sorti del Pd si illudeva che Montepulciano fosse l’occasione per una riflessione sui lineamenti politici della coalizione; su come fare emergere il carattere costruttivo di un impianto programmatico; come affrontare le sfide di “un mondo uscito dai cardini”. Questioni cruciali per le sorti dell’Italia. Questioni che non si affrontano con i giochi di parole di chi si inventa che occorre essere radicali e non riformisti. Formula priva di senso, utilizzata a sinistra per alludere a presunti e velleitari contenuti di maggiore antagonismo. Una stupidaggine. Per vincere la sfida per il governo occorre dimostrare con competenza e concretezza che il centrosinistra, più e meglio della destra, è in grado di fornire risposte convincenti al grande problema irrisolto della democrazia italiana: la mancanza di riforme di gangli vitali della realtà economica e sociale del paese: fisco, spesa pubblica, mercato del lavoro, Pubblica amministrazione, giustizia, formazione. Su questo terreno andrebbe incalzata la destra, mostrata la sua debolezza. Questa la questione con cui il Pd ha da fare i conti. Temo sia lecito dubitare che si vorranno fare.
Umberto Ranieri
Al direttore - Il Foglio del 29 novembre è da incorniciare: due articoli di prima pagina – “Evviva i militari in Parlamento” di Claudio Cerasa e “Il gran ritorno del soldato” di Giuliano Ferrara – aprono la mente a una urgente e feconda riflessione: si ritorna a parlare di uno dei fondamenti dello stato, ovverosia delle Forze armate, considerate secondo una visione politica ed etica liberale e democratica delle stesse. Il che non vuol dire – sia ben chiaro – un’edulcorazione o un nascondimento ipocrita della natura e ruolo tecnico professionale, esclusivo e unico, che è proprio del corpo militare di una nazione, inteso sia come forza accumulata dissuasiva in potenza (la deterrenza), sia come dispiegamento operativo in atto della medesima in teatri di guerra. Quanto, piuttosto, di costruire un’etica militare democratica per il rispetto, il riconoscimento e la gratitudine delle forze politiche e dei cittadini verso le Forze armate in una cornice pluralista e civile, di fronte a un contesto geopolitico come quello attuale, segnato da instabilità internazionale, guerra nel cuore dell’Europa, grave crisi in medio oriente, conflitti regionali, nuove minacce globali (terrorismo, cyberwarfare, crisi energetiche). Perché – ahimè – la mancanza, nella società e nella cultura italiane, di un’etica militare democratica produce effetti negativi sull’intera comunità nazionale. In Italia, al solo pronunciare l’espressione etica militare democratica scatterebbe immediatamente una campagna di mobilitazione antifascista: cortei, manifestazioni nazionali di piazza, occupazioni di scuole e scioperi generali. Ancora più forte sarebbe la reazione qualora ci si interroghi se la mancanza, nel nostro paese, di un’etica militare democratica non rappresenti un limite e un handicap significativi per le forze progressiste e socialiste liberali: in quel caso scoppierebbe addirittura un’insurrezione da parte della sinistra massimalista e populista. La storia italiana ha prodotto, per diverse cause, una distanza tra società civile e Forze armate. Oggi, però, rischia di trasformarsi in un punto di debolezza. Recuperare un rapporto attivo e positivo verso i militari, senza nostalgie autoritarie, significa fare propria una lezione di sano realismo per rafforzare la democrazia e prepararsi alle sfide di un mondo sempre più instabile. Una nuova politica per le Forze armate e una narrazione culturale diffusa – nel cinema, nella letteratura, nei media – potrebbero rappresentare i primi passi per costruire un’etica militare democratica capace di unire memoria storica e nuovi doveri del presente.
Alberto Bianchi