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lettere al direttore

Un diritto violato per un "nemico" è un diritto violato per tutti

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Caro Cerasa, per una volta vorrei spezzare una lancia a favore di Giuseppe Conte. Anche ieri, in una trasmissione televisiva, un politico lo ha accostato a Cetto La Qualunque per il suo mitico “è tutto gratis per tutti”. Mi pare un giudizio irriverente. Perché lo slogan dell’ex Avvocato del popolo può vantare ben altri quarti di nobiltà letteraria, che risalgono addirittura al “Decameron” di Giovanni Boccaccio (1353). Più precisamente alla terza novella dell’ottava giornata “Calandrino e l’elitropia”: “Maso fu da Calandrin domandato dove queste pietre così virtuose si trovassero. Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone, terra de’ baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale niuno lavorava, essendo dal principe garantito reddito di cittadinanza e dai banchieri coniato e imprestato gratis dinaro per qualsivoglia necessità; e eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva”. Già seicentosettantadue anni fa, insomma, il Certaldese aveva immortalato da par suo un topos del nostro carattere nazionale.

Michele Magno

 


 

Al direttore - Qui non si ha nessuna simpatia per le idee e i metodi delle cosiddette “fascistelle”, le quattro persone che scrivevano in una chat privata da loro chiamata proprio “fascistella”, raccolta dalla procura di Monza. Alcuni messaggi  erano stati stralciati dalle indagini (alcune delle persone coinvolte sono indagate per stalking) perché considerati non rilevanti, ma a distanza di un anno e mezzo anziché essere distrutti, sono finiti sui giornali. Eppure da quella procura dati sensibili e conversazioni private e non rilevanti (non solo di quella chat) sono finite, in violazione di legge, nelle redazioni dei giornali. E da lì sono state pubblicate divenendo di dominio pubblico. Sono quattro attivisti digitali di sinistra, femministe, pro Pal, pro lgbt, che concentravano i loro contenuti contro il governo Meloni, l’omotransfobia, Israele. E chiunque contrastasse la loro visione del mondo veniva puntato e classificato come “fascista” da mettere al bando (uno dei ragazzi oggetto della gogna digitale ha tentato il suicidio). Gli stralci riportati sui giornali (i soggetti in questione insultavano pesantemente anche giornalisti, scrittori e persino Mattarella) hanno permesso di trasformare i soggetti in questione da “influencer” della sinistra in odiatori seriali. E le loro (odiose) conversazioni private sono finite ovunque sui giornali. Anche nelle parti irrilevanti. Il Fatto quotidiano ha scritto che  “esiste un interesse giornalistico per la pubblicazione di quel materiale”. E l’interesse, sembra di capire, sta nel denunciare “la totale incoerenza fra l’immagine pubblica che queste persone hanno costruito di loro stesse e la negazione di quell’immagine appena si chiude il sipario pubblico”. Il privato, secondo questa logica tipica dei regimi non democratici, dunque non esiste e per alcuni soggetti il privato deve essere necessariamente equiparato al pubblico. Per condannare i metodi intimidatori dei soggetti in questione, era sufficiente osservare ciò che facevano nella loro vita pubblica, non nei loro spazi privati, e se non ricordiamo male esiste una legge che tutela la privacy e le conversazioni private, e che puntualmente viene violata (anche in questo caso). Sarebbe interessante se ci fosse un qualche magistrato desideroso di avviare un’indagine per il reato di fuga di notizie, contro i colleghi. Ma anche stavolta non succederà. Eppure la questione è semplice. Davvero non si ci rende conto che un diritto violato per un “nemico” è un diritto violato per me e per tutti? Davvero vogliamo giudicare, mettere alla gogna, condannare e isolare le persone in base a ciò che in attimi di intimità, rabbia, si dicono in privato? Indagare è giusto, se si sospetta che vi sia un qualche reato commesso. Ma una domanda è d’obbligo: chi, grazie all’esercizio dell’azione penale, e al diritto di cronaca, ha avuto in mano quel materiale privato, perché non l’ha protetto?
Annarita Digiorgio

Separare le carriere tra pubblici ministeri e giornalisti giudiziari è la vera riforma che salverebbe il paese dall’industria della barbarie.

 

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