le lettere

Ora il Garante si accorge della differenza tra diritto di cronaca e diritto di sputtanamento

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Caro Cerasa, constato con rammarico che il Pd (e non solo) continua a chiedere il riconoscimento della Palestina “quale stato democratico e sovrano entro i confini del 1967”. Ora, chi invoca il ritorno ai “confini del 1967” non sa di cosa parla. Quei confini, infatti, non sono altro che le linee del cessate il fuoco stabilite nel 1949, al termine della guerra d’indipendenza israeliana. Non sono mai stati riconosciuti come frontiere ufficiali da nessuno, tant’è che la stessa Risoluzione 242 dell’Onu parla di “confini sicuri e riconosciuti”, senza mai menzionare un ritorno alle linee pre 1967. Nel 1967, Giudea e Samaria erano sotto occupazione giordana, mentre Gaza era sotto occupazione egiziana. La Guerra dei sei giorni scoppiò proprio perché Egitto, Giordania e Siria minacciarono apertamente Israele, chiudendo lo Stretto di Tiran e il Canale di Suez,  e  schierando i propri eserciti ai suoi confini. Dalla vittoria di Tel Aviv nacque un nuovo scenario geopolitico, in cui Israele si ritrovò a controllare territori che nessun altro stato aveva mai rivendicato. A differenza della Giordania, Israele non ha mai formalmente annesso quei territori, mantenendone lo status come “disputati” – cioè aperti a futuri negoziati. Questo spiega perché il termine “occupazione” è fuorviante: un’occupazione presuppone un sovrano precedente legittimo, ma nessuno stato palestinese è mai esistito su quei territori. Chi insiste sul ritorno ai “confini del 1967” ignora non solo la storia, quindi, ma anche il diritto internazionale e le ripetute opportunità di pace rifiutate dagli arabi palestinesi. La vera questione non è dove tracciare i confini, ma se esiste davvero la volontà politica di riconoscere Israele come stato  ebraico, e porre così fine al conflitto. Poscritto fuori tema: Carlo Calenda a “Piazzapulita” ha smascherato non tanto le bugie di Jeffrey Sachs, ma le menzogne dei guitti televisivi e l’ipocrisia di buona parte del giornalismo italiano.
Michele Magno


 

Al direttore - Intervistato da Repubblica sulle nuove rivelazioni intorno all’omicidio di Piersanti Mattarella e l’arresto dell’ex funzionario di polizia Filippo Piritore, Luciano Violante spiega che “indubbiamente c’è stata una manipolazione, il guanto non è stato consegnato, è stato citato un personaggio inesistente, ci sono state omissioni e bugie, la procura non è stata avvertita immediatamente dell’omicidio”. E fin qui, nulla di inaspettato. Violante, però, che di certi temi se ne intende, mette tutti in guardia, avvertendo che “queste vicende vanno affrontate con prudenza. Valga il fallimentare precedente dei processi stato-mafia: a volte non si sta sulle cose, si seguono modelli ideologici e si fallisce”. E in effetti, da quel che finora è venuto a galla, intercettazioni comprese, si ha la sensazione che anche questo nuovo filone d’inchiesta sul barbaro assassinio di Piersanti Mattarella finirà in un nulla di fatto, con la solita scia di accuse poco solide, indizi che lasciano il tempo che trovano e una lunga cavalcata mediatica con nel mirino il “presunto colpevole” (o colpevoli) di turno che passerà anni in tribunale fino alla mesta uscita di scena da innocente ma con la vita rovinata.
Luca Rocca


 

Al direttore - Domanda del Corriere della Sera: “Lei ha chiesto a ‘Report’ di dare la notizia evitando la pubblicazione dell’audio, che differenza poteva fare?”. Risposta di Federica Corsini, moglie di Gennaro Sangiuliano: “Moltissima, dal punto di vista di qualsiasi cittadino in una situazione analoga. Veder diffusi la mia voce, le mie reazioni e il mio privatissimo stato emotivo è umiliante. Un giornalista avrebbe dovuto sapere molto bene che l’audio non aggiungeva nulla alla notizia, se non la mia umiliazione”. Serve altro?
Mauro Michelini

  

La storia ormai la conoscete. Il Garante della privacy ha multato la Rai per 150 mila euro dopo una puntata di “Report” (dicembre 2024) in cui venne trasmesso un audio privato tra il ministro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini. La diffusione dell’audio è stata giudicata lesiva della privacy e ha scatenato uno scontro tra il Garante e Sigfrido Ranucci. Ranucci rivendica il diritto di cronaca e denuncia pressioni politiche. Il garante dice che diffondere quell’audio ha violato la privacy della signora Corsini. Che la privacy di Corsini sia stata violata non c’è dubbio. Ma quello che forse il Garante della privacy dovrebbe chiedersi è se negli ultimi vent’anni abbia fatto o no qualcosa per arginare la deriva che oggi invece cerca di combattere: fare il possibile per evitare che l’opinione pubblica italiana fosse educata a considerare, a colpi di violazioni delle privacy sistematiche, a colpi di intercettazioni irrilevanti diffuse sui giornali, il diritto di cronaca un sinonimo del diritto allo sputtanamento.
 

Di più su questi argomenti: