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Lettere al direttore

L'antisemitismo nemmeno oggi è solo una reazione: per gli ebrei portare la kippah è un problema da anni

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nella versione appena approvata dal Senato – e trasmessa alla Camera – il nuovo, salvifico, reato di “femminicidio” sanzionerà, con l’ergastolo, chi cagionerà la morte di una donna quando il fatto sia commesso come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali. Ma perché l’omicidio di una donna dovrebbe meritare una sanzione più severa rispetto a quello di un uomo? Cosa si dovrà intendere, in concreto, per “atto di odio, discriminazione o prevaricazione”? E come potrà un giudice accertare la motivazione discriminatoria o dominante alla base del gesto? Quanto è determinata – sul piano giuridico – la formula “in quanto donna”? E perché non si dovrebbe punire allo stesso modo l’omicidio di un uomo “in quanto uomo”? Del resto, non è forse ogni omicidio una radicale limitazione delle libertà individuali della vittima? Quanto poi alla scelta dell’ergastolo, basti richiamare due dei casi di cronaca più recenti e drammatici – gli omicidi di Giulia Tramontano e Giulia Cecchettin – i cui responsabili (Alessandro Impagnatiello e Filippo Turetta) sono stati entrambi condannati all’ergastolo, senza che vi fosse alcun bisogno di una nuova fattispecie di reato. Invece di investire nella prevenzione e nell’educazione, si continua a battere la strada dell’inasprimento sanzionatorio. E’ la versione “all you can eat” della repressione penale, pensata per soddisfare ogni nuova (o presunta) richiesta dell’opinione pubblica. Poco importa la qualità del cibo (il rispetto dei princìpi di tassatività e determinatezza) o quanta fame ci sia realmente (ovvero se la nuova norma sia davvero necessaria): ciò che conta è aggiungere un piatto in più al (già ben nutrito) menù, anche a costo di servire risposte simboliche a problemi sistemici.

Guido Stampanoni Bassi


 

Al direttore - L’aggressione verbale di un ebreo all’Autogrill di Lainate è un fatto gravissimo. Ancora più grave sarebbe sapere che qualcuno giudica quell’aggressione una reazione. Non è una reazione: è odio. Punto.

Lucia Aroni

La storia di Elie Sultan, il 52enne francese ebreo aggredito verbalmente all’Autogrill di Lainate da due uomini che l’hanno insultato con frasi antisemite mentre era col figlio di sei anni, è lì a raccontarci una verità difficile da negare. Sultan è stato aggredito in quanto ebreo. In quanto ebreo desideroso di rivendicare la sua fede, di non nasconderla, indossando la kippah. Sarebbe persino consolatorio, da un certo punto di vista, sostenere che l’odio nei confronti di Sultan sia frutto di una “reazione” alla tragedia di Gaza, frutto cioè di un “nuovo” antisemitismo, di cui sarebbero responsabili gli stessi ebrei, colpevoli di essere ebrei e dunque naturalmente complici di Israele. Sarebbe persino consolatorio, se fosse così, ma il dramma che in molti si rifiutano di vedere è che per gli ebrei indossare la kippah è divenuto un problema da anni. Nel 2016, a Marsiglia, dopo un’aggressione a un ebreo, l’allora presidente del Concistoro israelita Zvi Ammar  consigliò agli ebrei di non indossare la kippah per strada. L’antisemitismo che spinge a insultare i Sultan, purtroppo, non è nuovo. E’ sempre lo stesso. E’ sempre la stessa storia. E’ sempre lo stesso orrore che da anni cerca un pretesto qualsiasi per rendere accettabile quello che sarebbe una tragedia trasformare in una nuova normalità: non muovere un dito di fronte a un mondo in cui, in nome della vecchia e nuova intifada globale, essere ebrei diventa ogni giorno di più semplicemente un peccato mortale. 


 

Al direttore - La Direzione Competition della Commissione Ue tiene aperta la questione dell’applicazione del golden power sorta dal dpcm che ha  dettato prescrizioni e condizioni per l’aggregazione del Banco Bpm da parte dell’Unicredit. Ritirata l’Ops da parte di quest’ultimo, anche le specifiche norme dettate per la relativa operazione dovrebbero perdere di attualità e, dunque, venir meno (tranne che si pensi a un “repechage” dell’Unicredit, che tuttavia non sembra fondato). Se, invece, la Commissione intende trarre spunto da questa occasione per dettare un indirizzo “erga omnes”, allora si tratta di un atto diverso, che dovrà avere un preciso fondamento normativo, ma che non potrà fare a meno di affrontare anche altri casi di “simil golden power”, quale il comportamento del governo tedesco versus lo stesso Unicredit per l’operazione Commerzbank e quello del governo spagnolo per l’ipotizzata aggregazione del Banco Sabadell da parte del Bbva. O ritorna sempre, anche a Bruxelles, il Marchese del Grillo per cui alcuni sono loro e altri non contano nulla? 

Angelo De Mattia
 

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