Foto di Evgeniy Maloletka per AP Photo, via LaPresse

lettere al direttore

Perché il campo largo fatica a interessarsi della difesa dell'Ucraina

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Dal Donetsk, dove sono recentemente andato con altri coraggiosi amici italiani e ucraini, per portare #zainisalvavitaperlucraina, per i medici e paramedici militari al fronte, leggo l’articolo di oggi del direttore Claudio Cerasa. Non posso che concordare sul fatto che venendo qua in Ucraina, non dico al fronte dove eravamo noi, ma anche solo nella capitale Kyiv, i segretari e dirigenti dei partiti di sinistra potrebbero capire l’infamia dell’aggressione russa e la vigliaccheria politica e umana di chi in Europa, verso il legittimo governo e il popolo ucraino, usa solo parole di circostanza, come quando si fanno le condoglianze ai parenti di qualcuno la cui morte non ti tocca più di tanto. Saluti.
Carlo Ferrari

 

Per il campo largo, l’unico riarmo da combattere è quello dell’Europa non della Russia. E la ragione per cui si considera un’emergenza il riarmo europeo è la stessa che porta a disinteressarsi della difesa dell’Ucraina: il senso di colpa occidentale, che porta a trasformare gli aggrediti in aggressori e gli aggressori in aggrediti, e che porta a credere davvero che per evitare guerre con Putin l’essenziale sia non provocarlo piuttosto che provare a difendersi. 

 


   

Al direttore - Ho letto e apprezzato il discorso fatto a Chatham House dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, perché è stata una delle rare occasioni in cui il vertice dell’Alleanza atlantica ha usato parole chiave sulla difesa europea, tracciando una linea chiara. Visto quel che succede in Ucraina, non si può fare finta che la Russia non rappresenti un problema per l’Europa, né che i ritmi di produzione dell’industria militare di Mosca – che realizza in un mese quanto l’Europa fa in un anno – non riguardino anche la sicurezza nazionale italiana. Il fatto stesso che la guerra d’Ucraina abbia un pericoloso – ma di cui troppo poco si parla – “fronte meridionale” in Africa, dove i russi sanno come muoversi, dovrebbe far riflettere gli italiani del fatto che, per quanto impopolari possano essere, le spese per la Difesa vanno aumentate e la spinta della Nato verso il 5 per cento del pil va alimentata e sostenuta (aggiungo: giusta la suddivisione tra 3,5 per cento della spesa destinato alla difesa militare “reale” e l’1,5 a infrastrutture fisiche e digitali, che sono un altro elemento centrale da tutelare nel quadro della visione globale della sicurezza). Del resto, come sosteneva già nel 2003 Charles Krauthammer, né l’isolazionismo – che per l’Italia è una condizione da “psichiatria geopolitica” – né l’internazionalismo liberale sono oggi le lenti adatte per leggere la realtà, perché non si può né far finta che non vi sia un problema securitario, né ostinarsi a cercare un accordo con chi non ne vuole sapere e ha, al contrario dell’occidente, un’agenda politica molto chiara. Occorre un bagno di realismo oggi per dire che la “potenza civile” europea può essere tale solo se garantita dalla sua “potenza militare”.
Filippo Del Monte

   


  

Al direttore - Quando si scrive che l’esportazione verso gli Usa è calata del 10 per cento, andrebbe spiegato che si tratta del valore: i volumi sono rimasti invariati. In altre parole, noi imprenditori italiani abbiamo finanziato lo stato Usa accollandoci uno sconto pari al dazio del 10 per cento di Trump.
Stefano Cinelli Colombini

   


    

Al direttore - Mi chiamo Luca, ho 39 anni e vivo a Bologna. Le scrivo perché credo che il Foglio sia l’unico quotidiano a raccontare il mondo con una reale onestà intellettuale e senza ideologie. Alle ultime comunali votai con convinzione l’attuale sindaco. Ero iscritto al Pd e sostenni quel progetto con entusiasmo, fiducioso nella continuità con la precedente amministrazione. Mi sbagliavo. La città è peggiorata, ma è anche priva di un’opposizione credibile e se si votasse domani i bolognesi si troverebbero di fronte a un referendum sulla mediocrità: tra una giunta in calo di consensi (4.5/10) e un centrodestra che fatica a proporre candidati autorevoli. E si sa: a Bologna la destra non sfonda. E dove in Italia la sinistra vince, spesso lo fa per assenza di alternative credibili più che per merito. Ma vincere facile non vuol dire governare bene. E infatti qui si governa più con la narrazione (ridondante) che con i fatti. Il progetto “Città30” è rimasto un annuncio. I cantieri del tram paralizzano la città e intanto il biglietto del Tpl è diventato il più caro d’Italia. La criminalità cresce a dismisura, l’emergenza casa è fuori controllo e il centro è diventato un grande b&b. A pagarne il prezzo sono i residenti, i commercianti, i più fragili. Ma l’opposizione è impalpabile e velleitaria, e la società civile pare anestetizzata. Sotto i portici si borbotta, ma ci si ferma lì. Credo che serva uno scatto, un nuovo impegno, dal basso ma ambizioso, popolare e indipendente. Un’alternativa concreta, postideologica. Perché Bologna merita di meglio. E soprattutto, merita una vera scelta.
Luca