
(foto Ansa)
lettere
Non si può parlare di Gaza senza parlare ogni giorno di Hamas
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Gli ebrei ormai stretti in un angolo. Uccisi fuori da un museo ebraico, assaliti nelle città d’Europa se portano la kippah in testa, respinti da un ristorante o da un negozio. La gente capisce, giustifica, e alza le bandiere della Palestina. Legittimato dall’opposizione alla politica del governo Netanyahu, l’antisemitismo è vivo e ha dettato le sue parole d’ordine: sionismo, apartheid, genocidio. Gli ebrei si nascondono. Non è vero che la gente diventi antisemita per l’opposizione al governo Netanyahu. L’antisemitismo è nella cultura e nell’animo, affonda le sue radici nelle viscere della storia e nel millenario pregiudizio dell’occidente. Non occorre più fingere, anzi, è meritorio e umanitario rigurgitarlo nei social e nei media. Rivolto uno sguardo sghembo ad attentati e stragi, e superato ogni sgomento per il 7 ottobre, è subentrato lo scandalo di Gaza. Ma lo sguardo non va più in là, e la barbarie di Hamas e gli scudi umani svaniscono. La tragedia del popolo palestinese è tragedia vera, ed è anche tragedia del popolo israeliano, ma è anche un pretesto a lungo atteso. Sarebbe stato sufficiente essere anti Netanyahu, e si è diventati invece anti israeliani e antisemiti. Il salto è aberrante, ma opinione pubblica e “progressisti” preferiscono non accorgersene, finalmente liberi dell’ombra mostruosa della Shoah grazie allo spaventoso contrappeso di Gaza. Non è antisemitismo deplorare la morte dei civili, bambini e non, non lo è criticare il governo di uno stato. E’ però antisemitismo non riconoscere a quello stato il diritto all’esistenza, e giudicare gli eventi presenti senza considerare la storia dei trattati di pace respinti. E’ antisemitismo mettere alla sbarra gli ebrei del mondo chiedendo loro di “dissociarsi” – come se fossero membri delle Brigate Rosse – e non chiedere ai musulmani e ai palestinesi del mondo di dissociarsi dal terrorismo di Hamas e di condannare il 7 ottobre. Antisemitismo è giustificare quel terrorismo come “comprensibile reazione”. Sia chiaro: non occorre essere ebrei per essere contro i bombardamenti sugli ospedali e sulle scuole, per essere contro la distruzione gratuita di case e limoneti e uliveti. Per essere contro la cacciata di civili dalle loro case. Ma non occorre essere ebrei per condannare ottant’anni di terrorismo, di attentati nelle discoteche e nei caffè, lo squartamento di donne incinte, la decapitazione di bambini, lo stupro degli ostaggi. Come non si son viste lenzuola bianche alle finestre dopo il 7 ottobre, non si sono lette condanne e grida d’allarme dopo l’omicidio dei due ebrei davanti al museo ebraico di Washington. E non sono quelle le prime vittime di questa ondata di odio che si riversa su cittadini ebrei d’Europa e d’America, nell’indifferenza dell’opinione pubblica e della politica. Continueremo a batterci per la pace – certi della nostra impotenza – da cittadini del mondo, senza che nessun tribuno del popolo ci chiami a deporre alla sbarra.
Dario Calimani, presidente della Comunità ebraica di Venezia
Una lettera bellissima, caro Calimani, che ci aiuta a cogliere un punto, su cui dovremo tornare. Parlare della tragedia di Gaza non è giusto: è sacrosanto. Chiedersi se la strategia di Netanyahu abbia un senso strategico o sia senza senso non è giusto: è sacrosanto. Non chiudere gli occhi rispetto a quello che succede ogni giorno a Gaza non è giusto: è sacrosanto. Ma chiunque voglia davvero porre fine alla guerra, chiunque voglia davvero chiudere le ostilità, chiunque voglia davvero garantire a Gaza un futuro non può limitarsi a parlare solo di Israele. Deve aggiungere un pezzo, ogni giorno, deve avere il coraggio di parlare anche di tutto quello che si è scelto di fare, dal 7 ottobre, o meglio di non fare, nella comunità internazionale, nel mondo dell’umanitarismo, per non fare pressioni su Hamas, per non fare pressioni per la liberazione degli ostaggi, per non fare tutto il necessario per disarmare l’unica forza militare la cui distruzione permetterebbe a quella porzione di medio oriente di avere un futuro. La tragedia di Gaza è una tragedia che parla anche a Israele. Ma parlare della tragedia di Gaza senza parlare ogni giorno di Hamas significa voler vedere solo un pezzo della storia. E significa fare un passo in avanti ulteriore per trasformare il terrorismo in un atto eroico di resistenza. Ci sono due tragedie a Gaza. Entrambe potrebbero risolversi con quel famoso cartello milanese rievocato magnificamente ieri da Giuliano Ferrara: “Free Gaza from Hamas”.