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Lettere

Rifuggire dal pacifismo “catastrofico”. Il monito di Pannella

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Becciu non entra in Conclave. Temeva che non ne sarebbe più uscito.
Michele Magno


Al direttore - Nel dialogo AI tra i due cardinali sembra tornare alla fine quello tra  ortodossi e luterani all’inizio del XVI secolo: Dio ci salva attraverso le opere o attraverso la fede? Attraverso l’ong Misericordia o l’incontro col Cristo risorto? La mediazione finale all’epoca non fu possibile. O l’una o l’altra strada. Chiedono atteggiamenti diversi. Forse non conciliabili.
Carlo Moroni


Al direttore - Di questi tempi in cui si susseguono rapidi riposizionamenti geopolitici nei “Taccuini” di Albert Camus (Bompiani), scritti fra gli anni 30 e 50, ho trovato questo appunto prezioso e triste che suona tremendamente attuale: “Robert, obiettore di coscienza filocomunista nel ’33. Tre anni di prigione. Quando esce di prigione i comunisti sono per la guerra e i pacifisti hitleriani. Non capisce più nulla di questo mondo impazzito. Si arruola con i repubblicani spagnoli e fa la guerra. Viene ucciso sul fronte di Madrid”.
Manuel Orazi

I pacifisti di oggi rischiano di essere i veri nemici della pace. Lo capì bene Marco Pannella anni fa – in una famosa intervista a Paolo Franchi sul Corriere –, che mai confuse il rifiuto della guerra con il rifiuto della resistenza. Pace, per Pannella, voleva dire proteggere i più deboli, anche a costo di sfidare la retorica nonviolenta. Era lo stesso principio che spingeva i radicali a difendere, senza esitazioni, gli oppositori di ogni totalitarismo. Oggi purtroppo non è raro fare i conti con pacifisti che invocano il cessate il fuoco senza chiedersi chi aggredisce e chi resiste, chi spara per attaccare e chi per difendersi. “Il pacifismo in questo secolo – disse Pannella – ha prodotto effetti catastrofici, convergenti con quelli del nazismo e del comunismo. Se il comunismo e il nazismo sono messi al bando, il pacifismo merita di accompagnarli”. Quanti radicali oggi avrebbero il coraggio di dirlo ancora?



Al direttore - Sono d’accordo con lei a proposito del ruolo fondamentale che ha avuto la competizione nel settore come fattore che, tra l’altro, ha spinto all’Ops di Mediobanca su Banca Generali. Ma non si può fare a meno di ricordare che le Generali – per Cuccia la pupilla dell’occhio per la quale aveva “combattuto” per decenni per impedirne la sottrazione alla sua Mediobanca – sono state per lungo tempo in una sorta di consustanziazione con la banca oggi di Piazzetta Cuccia. E chi, quorum ego, sollecitava l’allentamento o il superamento del rapporto in questione era ritenuto eversivo o forse fuori di testa. Ora si progetta lo sganciamento, ma avviene, guarda caso, mentre si diffonde una sorta di avvertimento di un pericolo estremo per il vertice di Mediobanca e mentre non è chiaro quale possa essere l’interesse del Leone di Trieste a dismettere la partecipazione in Banca Generali. Eppure si ripete spesso che le aggregazioni debbono rispondere alle ragion d’essere di una banca, non del management, che consistono nella migliore tutela del risparmio e nel sostegno a famiglie e imprese. Per di più, si presenta l’Ops come una normale operazione, quando invece, riguardando partecipazioni strategiche che non possono diventare di colpo comuni interessenze, sono necessarie attente valutazioni sul piano giuridico, oltreché ovviamente su quello finanziario. Fondamentale è poi il ruolo della Vigilanza e delle altre authority con profili di competenza in materia. Insomma, siamo solo agli inizi. Il film è tutto da vedere. E sarebbe singolare se si dovesse applicare la nota massima “Propter vitam, vivendi causam perdere”. La vita di una grande istituzione bancaria deve prescindere dalle contingenze.
Angelo De Mattia
 

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