L'ex magistrato Guido Salvini con Gherardo Colombo (foto Ansa)

lettere al direttore

Apologia di Salvini, quello buono: Guido

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Fa specie la lettura dell’articolo di Luigi Ferrarella, sul Corsera di ieri l’altro, sul giudice milanese Guido Salvini, di recente andato in pensione. Un lettore non informato ne ricava il ritratto di un magistrato sfaticato e approssimativo. Bene ha fatto Ferrarella a riferire il sentiment che si respira oggi a palazzo al riguardo. Ma altrettanto bene avrebbe fatto a chiosare l’articolo con una precisazione alla portata di chiunque – operatore del diritto – abbia avuto occasione di incontrare il dottor Salvini. E’ stato un magistrato onesto, preparato, scrupoloso e un gran lavoratore. Ma soprattutto, last but not least, estraneo a qualsiasi corrente correntizia togata. Niente di più, niente di meno. Grazie per l’ospitalità.
Luigi la Marca

Guido Salvini, in una lettera al Dubbio, ha spiegato ciò che andava spiegato. Così: “L’elenco dei processi è stato redatto regolarmente dalla cancelleria su mia richiesta e messo a disposizione dell’ufficio il giorno stesso del mio congedo. Poi non ci sono 900 archiviazioni pendenti ma zero, ripeto zero, tutte fatte e firmate. Semplicemente il nostro ufficio archiviazioni, per la mancanza di personale che conosciamo, non le ha ancora ‘registrate’ e sono ferme addosso a una parete”. Aggiunge poi Salvini, quello buono: “Ci sarà di certo, dietro tutto questo, qualche invidia, lasciata, inevitabilmente, in eredità. E anche qualche rancore a lungo coltivato. Sopratutto perché io ho spesso osato criticare, da giudice non ‘associato’ il mio mondo di appartenenza. Alla fine, in un modo o nell’altro, i dissenzienti si colpiscono, e possibilmente alle spalle”. Gli si può dar torto?


Al direttore - Come è noto, le tecniche elettorali non ci arrivano dai greci, che di norma ricorrevano al sorteggio, ma dagli ordini religiosi, dai monaci arroccati nei loro conventi-fortilizi che nell’alto medioevo dovevano eleggere i propri superiori. Non potendo ricorrere al principio ereditario, non restava che il voto. Così dobbiamo alla loro fantasia il voto segreto e l’elaborazione di regole maggioritarie. Va aggiunto, per amore di verità, che alla fine l’elezione doveva risultare unanime. I riottosi, infatti, spesso venivano convinti a bastonate. In fondo, qualcosa di simile oggi accade in Russia, nei paesi islamici, in buona parte del continente asiatico e di quello africano. La vittoria della democrazia liberale, quindi, è purtroppo ancora una mezza vittoria. Il problema è che molti, non solo in Italia, strizzano l’occhio all’altra metà. 
Michele Magno

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