Foto LaPresse

lettere al direttore

Quel che si può fare davvero per combattere la battaglia di Navalny

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - La signora Ginevra Bompiani, nel prime time di Retequattro, ha ricordato l’esclusione di Navalny dalla lista dei “Carcerati per motivi di coscienza” decisa da Amnesty International. In altre parole, a differenza di quanto fanno i suoi fan occidentali, Navalny non può essere considerato né un santo né un eroe. Beninteso, si è dimenticata di aggiungere che della stessa esclusione era stato vittima Nelson Mandela. Cantonata che la dice lunga sulla credibilità di Amnesty International e dei suoi giudizi storico-politici. En attendent il genio di turno che sosterrà che fu il Partito socialista a organizzare la “marcia su Roma”, visto che Mussolini ne era un esponente di primo piano una decina di anni prima. Del resto, come diceva Ennio Flaiano, si trova sempre qualcuno disposto ad alzare l’asticella del ridicolo.
Michele Magno

Su Navalny ha ragione da vendere Andrea Romano, che ieri su Repubblica ha rilanciato un’idea interessante. Le fiaccolate sono belle e scaldano il cuore, sì, ma per onorare il martirio di Alexsei Navalny serve altro. Serve “un atto parlamentare bipartisan che impegni il governo Meloni a farsi promotore, nel corso della presidenza italiana del G7  del sequestro dei 300 miliardi di dollari del regime russo attualmente congelati in occidente e del loro utilizzo a sostegno della resistenza ucraina”. Belle le fiaccolate, ma per non far calare la luce intorno a tutto ciò che ha rappresentato Navalny seguire i soldi può essere un modo efficace per ricordare cosa vuol dire fare di tutto per non arrendersi di fronte agli orrori del regime putiniano. 



Al direttore - La guerra di Gaza si accompagna alla più grande ondata di antisemitismo nel mondo dalla fine del secondo conflitto mondiale. A ben vedere, però, l’odio contro Israele non si è sviluppato dopo che le operazioni militari israeliane nella Striscia si sono compiutamente dispiegate, ma le ha precedute, è esploso subito dopo il massacro del 7 ottobre 2023 perpetrato da Hamas. Questo suggerisce una riflessione: l’odio antiebraico non è mai morto, covava sotto la cenere, in attesa dell’occasione favorevole per divampare nuovamente. Quando Israele sembrava forte e invincibile, l’odio esisteva ma usava toni più dimessi, si nascondeva sotto i distinguo; quando Israele è stata colpita e si è scoperta debole, l’odio si è manifestato in tutta la sua virulenza. In effetti, la distruzione dello stato d’Israele, obiettivo che sta nello statuto di Hamas, ma anche dell’Olp, e inspiegabilmente condiviso da larghissima parte della sinistra occidentale, improvvisamente sembra diventata possibile. Questo fa della guerra di Gaza, per Israele, una guerra di sopravvivenza. L’occidente, di fronte al problema, si presenta incerto e in ordine sparso. In pratica, Israele può contare solo sul sostegno americano, nonostante i problemi interni agli Stati Uniti legati alla prossima scadenza elettorale. L’Europa va dalla benevola indifferenza all’avversione manifesta, dal riconoscimento dell’indefinito “stato di Palestina” alla riciclata proposta dei due stati. Una soluzione che gli arabi hanno sempre rifiutato, dal 1948 in poi. Le ultime volte a fronte delle offerte di Barak (laburista) e Olmert (centrista); la destra becera israeliana è venuta dopo. Arafat rispose a Barak scatenando la seconda Intifada, con duemila civili israeliani uccisi in terribili attentati. Ora in Israele la formula “due stati” non la vuole più nessuno, nemmeno a sinistra: la saldatura tra Gaza e Cisgiordania è considerata una tenaglia mortale. Sono necessarie soluzioni diverse per differenti situazioni: per Gaza in particolare ci vuole il coinvolgimento dell’Egitto, che ha controllato la Striscia dal 1949 al 1967, e non può chiamarsi fuori.
Giancarlo Rapetti


Non c’entra con Navalny ma sfrutto questo spazio per un ricordo di un’altra persona che non c’è più. Si chiamava Patricia Chendi, è stata editor di Marsilio e Sonzogno, era la moglie di un caro amico del Foglio: Massimo Boffa. Un abbraccio da tutti noi.

Di più su questi argomenti: