Lettere al direttore

Quelli che da sinistra vedono in Hamas dei compagni che sbagliano

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Gli ebrei, anche in questo momento atroce, devono ricordare la lezione di Primo Levi: sopravvivere, restare umani per poter raccontare

Paolo Repetti



Al direttore - Caro Cerasa, nel 1982 ero il responsabile del dipartimento internazionale della Cgil. Dopo l’invasione israeliana del Libano, una parte dei suoi vertici rischiò di perdere la bussola, facendo confusione tra Menachem Begin e Mosè. Si indebolirono così le difese contro l’antisemitismo strisciante di alcune sedicenti avanguardie della classe operaia, sovversive e massimaliste, presenti anche nel movimento sindacale italiano. Furono i loro militanti a depositare una bara davanti alla sinagoga di Roma, scandendo slogan forcaioli e razzisti. Era il 25 giugno 1982, in cui era stato indetto uno sciopero generale per il lavoro e il Mezzogiorno. Un corteo immenso stava attraversando il Lungotevere, e pochi si accorsero di quell’atto ignobile. Ma, fatto ancora più grave, chi se ne accorse non reagì. Molti dirigenti sindacali sottovalutarono la gravità dell’episodio, rievocato da Pierluigi Battista nel Foglietto del lunedì scorso. Ed è innegabile quanto egli sostiene, ovvero che la lettera con cui Luciano Lama replicava alla condanna del rabbino Elio Toaff (alla cui stesura contribuì chi scrive), conteneva dei passaggi discutibili. La verità è che allora molti di noi erano vicini alle sofferenze del popolo palestinese e lontani dalle ragioni di Israele. Per fortuna Lama, come riconosce lo stesso Battista, era “un uomo retto e un ammirevole leader sindacale”, e avviò immediatamente una battaglia politica e culturale volta a stroncare ogni fenomeno di ostilità antigiudaica. Ad esempio, nell’aprile del 1983 la Camera del lavoro milanese organizzò un importante incontro con la comunità ebraica della capitale lombarda – il primo nella storia del sindacalismo confederale italiano – per discutere sulle radici, economiche e sociali, dell’antisemitismo. Un confronto quasi obbligato, perché lo sgomento suscitato dal massacro di Sabra e Shatila del 18 settembre 1982 aveva riesumato gli stereotipi antisemiti più antichi. Non si trattava certo di una novità: il paragone fra gli israeliani e i nazisti, i richiami al Dio cattivo di Israele, la sovrapposizione fra i termini israeliano, ebreo e sionista, erano comparsi già negli anni Cinquanta. Beninteso, non sto affermando che la sinistra radicale è antisemita, ma l’intolleranza nei confronti della minoranza ebraica non è estranea all’orizzonte ideologico dei suoi cattivi maestri. Come stiamo vedendo nelle manifestazioni di questi giorni, e non solo nel nostro paese.


Michele Magno

Su questo tema, ieri il Wall Street Journal, bibbia del buonsenso in questi giorni di isteria collettiva anti israeliana, ha notato un aspetto interessante sulle contraddizioni dei progressisti di fronte al conflitto in medio oriente. Il Wsj sostiene, a ragione, che una parte dei progressisti, in tutto il mondo, sia naturalmente solidale con tutti coloro che vengono considerati come i popoli oppressi che combattono contro l’imperialismo dell’occidente. E all’interno di questa descrizione, purtroppo, vi è anche Hamas. Di Hamas si condanna “l’atto terroristico”, non il metodo terrorista con cui hanno occupato dal 2007 la striscia di Gaza, facendola diventare una prigione a cielo aperto. Ma soprattutto, i grandi sostenitori degli oppressi, dimenticano sistematicamente di raccontare che se si vuole stare dalla parte di chi combatte le violazioni dei diritti umani bisognerebbe avere un pregiudizio positivo verso Israele, non verso Hamas. E invece, in nome dell’anti imperialismo, alla fine, nel dubbio, si crede alla propaganda di Hamas, si considera Hamas come la legittima controparte del governo israeliano e si considerano i terroristi tutt’al più come una sorta di compagni che sbagliano. “Su Israele – ha detto al Foglio Furio Colombo, ex parlamentare dell’Ulivo ed ex direttore dell’Unità – la sinistra sta commettendo lo stesso tragico errore che commise con le Brigate Rosse. Lascia circolare nel suo discorso la propaganda di Hamas, come fosse la limpida voce del popolo palestinese, anziché quella di un’organizzazione terroristica feroce, contro la quale è necessario schierarsi e denunciare, come fece l’operaio comunista Guido Rossa con le Br”. Quanti odiatori di Israele, oggi, da sinistra, possono non riconoscersi nelle frasi di Colombo?


Al direttore - Si fa presente che l’articolo “Così politica e business si lanciano sulle università telematiche” a firma di Maurizio Stefanini, pubblicato oggi sabato 21 ottobre sul Foglio, riporta una informazione non corretta, affermando che la presidente del Consiglio nazionale delle ricerche faccia parte dell’Avisory Board del Gruppo Multiversity. La presidente del Cnr Carrozza ha comunicato a Multiversity SpA, già nello scorso mese di settembre, la propria volontà di non far parte del citato Advisory Board. Si prega di volere rettificare quanto prima l’inesattezza riportata nell’articolo.


Ufficio stampa Cnr


Al direttore - E’ molto triste che debba essere il figlio del compianto presidente Napolitano, e solo lui, a difenderlo dalle parole di Gratteri. “Mio padre era fermamente convinto che un pubblico ministero in servizio non potesse assumere le funzioni di ministro della Giustizia, per il rispetto elementare del principio della separazione dei poteri”, ha scritto Giulio Napolitano al direttore del Corriere della Sera che aveva pubblicato una lunga intervista del neo procuratore capo di Napoli. “Non è un caso che ciò non sia mai avvenuto nella storia della Repubblica. Come cittadino e come studioso, non posso che auspicare che prima o poi si giunga a una condivisione autentica e diffusa del significato e delle implicazioni di un principio basilare della nostra democrazia”. Principio che dovremmo difendere tutti, come tutti dovremmo difendere la memoria del presidente Napolitano. E invece persino chi lo volle al Colle, oggi proprio per il suo non essersi schierato a prescindere con le toghe, ma avendo strenuamente difeso la separazione dei poteri, e lo stato di diritto, lascia solo il figlio a difendere un presidente e la Repubblica da un pm.

Annarita Di Giorgio


Noi stiamo con Giulio Napolitano.