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Lettere

I poteri del premier e i doveri della politica sulla riforma che verrà

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Mio nipote (19 anni, ha votato per la prima volta lo scorso settembre) mi ha chiesto di spiegargli qualcosa delle riforme costituzionali di cui sente parlare. Gli ho detto perché non mi convince, per l’Italia, né l’elezione diretta del presidente della Repubblica né quella del presidente del Consiglio; al che lui mi ha obiettato: “Allora come si fa a rendere più stabili e rafforzare i governi, cosa che anche tu consideri necessaria?”. Ho tentato di rispondere con una specie di fiction, ma molto realistica. Immaginiamo, gli ho detto, che siano in vigore le modifiche costituzionali che a me sembrano necessarie e sufficienti. Il 22 settembre ha portato, senza problemi e senza ledere nessun potere del Quirinale, all’incarico da parte del presidente della Repubblica a Giorgia Meloni in quanto leader del partito più votato della coalizione vincente; in modo naturale, come ha detto Mattarella. Non c’è bisogno per questo di nessuna norma costituzionale, è una soluzione pragmatica che – per di più – ha il pregio di rassicurare gli elettori sulla solidità della coalizione. Una prassi di questo tipo è seguita da tempo in Germania, Spagna, Inghilterra, dove pure i sistemi sono diversi anche dal punto di vista elettorale. A questo punto cominciano le novità che auspico. Le due Camere in seduta comune, ascoltate le sue dichiarazioni programmatiche danno la fiducia a lei e solo a lei, non all’intero governo. E’ una semplicissima modifica del 1° comma dell’art. 94. Meloni indica e il presidente della Repubblica nomina i ministri; ma può anche revocarli. Un potere nuovo, la revoca, che rafforza la Presidenza del Consiglio, del tutto in linea con l’art. 95 della Costituzione (“Il PdC dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico…”). Immaginiamo che, per un motivo qualsiasi Meloni revochi il ministro tal dei tali il cui partito (per esempio la Lega o Forza Italia) si dissocia dalla maggioranza. Scatta a questo punto l’altra novità, la sfiducia costruttiva: il governo non può essere costretto alle dimissioni se non da una maggioranza parlamentare nuova che si impegna a governare subito e a presentarsi al giudizio degli elettori entro un tempo dato. In Italia, oggi, questo vorrebbe dire un accordo di governo fra un partito della attuale maggioranza e quasi tutti i partiti della opposizione; ipotesi del tutto irreale. Ovviamente Meloni, anche senza la sfiducia costruttiva, può decidere di non essere più nella condizione di governare efficacemente e passa tutto nelle mani di Mattarella, chiedendo il ricorso alle elezioni su cui la decisione ultima resta comunque nelle mani del Quirinale; il quale, per evitarla deve comunque già oggi verificare che in Parlamento non ci sia un’altra possibile maggioranza. Clausola non molto diversa, nei fatti, dalla sfiducia costruttiva. Ma quella di Meloni di chiedere le elezioni sarebbe una decisione politica, non un automatismo istituzionale. Potrebbe decidere infatti anche di sfidare i dissidenti e governare fino al momento del giudizio popolare. Non ti sembra – ho concluso – che, così, il presidente del Consiglio sarebbe più forte e i governi più stabili? “Be’…sì”, mi ha risposto. Se ci sarà un seguito, ti terrò al corrente. Buon lavoro. 
Claudio Petruccioli

Non c’è ragione per demonizzare l’attuale sistema politico, che ha prodotto riforme, generato crescita e responsabilizzato a colpi di fiducie costruttive di un magnifico Parlamento trasformista il sistema politico italiano. Ma non c’è ragione neppure per cavillare troppo sul sistema che potrebbe nascere. Se siamo d’accordo sul fatto che il premier del futuro potrà nominare i ministri, revocare le loro nomine e avere qualche potere in più rispetto a oggi, senza togliere troppo al capo dello stato, sui dettagli poi ci si troverà. Pieni poteri no, ma pieni doveri della classe politica per dare a un governo più forza per governare, e decidere, sì. Saluti al nipote.


 

Al direttore - C’è una forma di immigrazione completamente legale che farebbe molto bene al nostro paese. Mi riferisco ai cosiddetti “ricongiungimenti familiari”. Alla richiesta cioè da parte di immigrati dotati di regolare permesso di soggiorno e con contratti di lavoro di poter fare arrivare in Italia i coniugi e i figli. E magari altri parenti di primo grado. I nuovi arrivati rafforzano i legami familiari, si inseriscono più facilmente nel mondo del lavoro e della scuola e contribuiscono in modo importante all’economia e al gettito fiscale italiani. Purtroppo però anche questa procedura, semplice da verificare ed espletare, si trasforma in un calvario. Dopo avere ottenuto il nulla osta dalle questure locali da parte del richiedente, con validità per soli sei mesi, il congiunto deve chiedere l’autorizzazione all’ambasciata del paese di residenza. E questo richiede altri mesi e mesi. Molte ambasciate non sono nemmeno in grado di fissare gli appuntamenti. Così scade il nulla osta e si ricomincia da capo. Frustrazione, tempo perso, occasione persa di avere nuovi e regolari cittadini. Sono sicuro che una revisione delle procedure per semplificarle e qualche mirata assunzione risolverebbero il problema con un saldo sicuramente positivo per l’Italia. Posso sperare che il ministro Tajani mi legga su questo giornale e abbia la compiacenza di rispondere?
Chicco Testa

Buon punto. Che ne dice ministro?
 

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