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Il vero scandalo del Mose è chi confonde il cacciarismo con la logica

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il capo di gabinetto del ministro dello Sport vuole forse pazziare, quando esorta a coniugare grammatica istituzionale e matematica politica a proposito dei costi e benefici del Mose? Tangenti, manutenzione, anni di danni evitati, cicli trentennali di risparmi previsti. Ora, visto che il Mose semplicemente funziona per gli scopi di progettazione e realizzazione previsti, tenere lontana l’acqua alta da Venezia, si ricomincia a giocare con numeragnoli, concettucoli e parolagni. Si torna in un attimo alle farneticazioni sul dragaggio di Malamocco e sulla ruggine tra le paratie, e a molte altre bellurie. Invece di grammatiche e matematiche bisogna ribadire un assunto logico elementare, e lo scandalo del Mose, che dovrebbe diventare uno scandalo internazionale, se il mondo progressista e correttissimo non avesse aiutato i banditori di fesserie di casa nostra e dunque non tacesse oggi per pudore verso sé stesso, è uno solo: costruivamo una diga, come gli olandesi, per contenere il mare e difendere la terra, e abbiamo continuato a ripetere che il problema era ben altro, fuori da ogni logica. Per queste scemenze ideologiche ci sarà dannazione della memoria o una nuova atmosfera di confusione morale (dal titolo di un racconto di Lodovico Festa). Una diga è una diga, una diga, una diga (Gertrude Stein).
Giuliano Ferrara

E quando poi scopri che l’effetto dell’attivazione del Mose ha determinato, solo nel primo anno, un incremento del valore degli immobili residenziali di Venezia del 4,5 per cento, effetto certificato la scorsa settimana da un formidabile paper della Banca d’Italia sugli effetti delle politiche pubbliche di adattamento al cambiamento climatico sui prezzi delle case, non si può non dire che il vero scandalo del Mose è chi continua a confondere il fumo con l’arresto, la forma con la sostanza, la fuffa con la ciccia, il cacciarismo con la logica. In tre parole: viva la diga!

 


   

Al direttore - La decisione del governo di incrementare la tassazione sulle sigarette è comprensibile e rinnova una tradizione fondata sul fatto che i prodotti del tabacco non sono beni necessari. Questa volta, però, l’analisi richiede approfondimenti nel metodo e nel merito. La tassazione in materia è complessa: ogni modifica può alterare gli assetti del mercato. Per questo la normativa vigente consente di intervenire discrezionalmente solo su alcuni parametri, mentre rimanda a innovazioni legislative interventi sulla composizione dell’accisa tra parte specifica e parte proporzionale. Nella manovra si propone un innalzamento della prima, con effetti distorsivi a danno delle sigarette di prezzo medio (quelle tra 5,00 e 5,50 euro € a pacchetto), che vedranno un aumento di 0,30 euro€, superiore a quello delle sigarette di prezzo alto, che si aggirerà intorno a 0,20 euro.€ Il settore sta peraltro profondamente cambiando. Sono cresciuti prodotti come il tabacco riscaldato, che – in base alla presunzione della riduzione del danno – gode di uno sconto fiscale consistente. Su di esso la legge vigente già prevede un innalzamento progressivo della tassazione fino a raggiungere il 40 per cento all’inizio del 2023. Nella manovra è previsto invece un rallentamento della progressione, che posticiperà tale risultato al 2026. Lo stesso livello di copertura previsto nella manovra potrebbe ottenersi operando sui parametri discrezionalmente manovrabili. Un inasprimento dell’incidenza di base e dell’onere fiscale minimo porterebbero agli stessi risultati di gettito, senza però alterare le dinamiche competitive del settore – che come disciplinato attualmente garantisce entrate erariali crescenti – e senza contravvenire alla vigente normativa. Ancor più facile sarebbe raggiungere questi risultati se una parte dei maggiori introiti non dovesse essere destinato a compensare il mancato gettito dovuto all’ingiustificato rallentamento della crescita delle aliquote sul tabacco riscaldato.

Marco Spallone, vicedirettore Casmef (Centro Arcelli per gli Studi monetari e finanziari dell’Università Luiss Guido Carli), 
professore ordinario 
all’Università di Chieti e Pescara

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