Enrico Letta (Ansa)

Lettere

Il 26 potrebbe essere un giorno molto complicato per il Pd di Letta

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il Pd nel suo complesso (cioè Enrico Letta e le sue correnti di sinistra) sta seguendo comportamenti assai contraddittori e quindi controproducenti, già in parte registrati da Valerio Valentini sul Foglio di ieri. Semplifichiamo. Se il Pd riteneva che il centrodestra a guida Meloni sta portando il paese verso il fascismo, non avrebbe dovuto avere esitazioni e proporre la versione moderna della svolta di Salerno del 1944 attraverso uno schieramento unitario che avrebbe dovuto riguardare tutti, da Conte a Calenda, a Renzi, alla Bonino fino a Fratoianni-Bonelli. Se invece il Pd pensa che il problema è quello di confrontarsi con il centrodestra su una serie di nodi decisivi  allora, in coerenza con le scelte fatte sull’Ucraina e sulla esclusione del M5s, avrebbe dovuto lavorare per costruire un polo riformista con Calenda, Renzi e +Europa. Invece, il Pd ha fatto tutto  e il contrario di tutto. Prima ha escluso Conte e anche Renzi e ha incluso Calenda e la Bonino. Poi ha provocato la rottura di Calenda includendo Fratoianni e Bonelli, due massimalisti da sempre contrari a Draghi. Il risultato è disastroso. L’unica conseguenza che si può trarre da tutto ciò è che ha ragione Paolo Mieli quando ha sostenuto che il riformista Enrico Letta è un segretario a sovranità limitata,  condizionato da correnti di sinistra che sognano il ritorno a uno schieramento e a politiche simili a quelli praticati con il governo Conte 2. Dopo il 26 settembre, è possibile che in via del Nazareno finisca ai materassi.
Fabrizio Cicchitto

Il 26 settembre, per il Pd, potrebbe essere una data molto complicata: sotto processo da parte di chi gli rimprovererà di non essersi alleato con il M5s e sotto processo da parte di chi gli rimprovererà di non essersi alleato con Renzi e Calenda. Il punto è semplice. O si va da soli (ma da soli davvero) o si va in coppia con chi può portare qualche voto (e non con chi te li fa perdere). O c’è il fascismo alle porte o non c’è.

 


Al direttore - Le scrivo nella qualità di rappresentante degli operatori dello spettacolo dal vivo privati (Atip-Associazione teatri italiani privati). In questo periodo sembra diventata ormai una categoria “marziana”, eppure si tratta di un settore in cui si sviluppa una forte economia e si creano centinaia di migliaia di posti di lavoro. Forse essendo un settore composto da imprenditori privati che rischiano in proprio e ricevono dallo stato (Fus) in media – i più fortunati –  appena un 30 per cento di sovvenzione dei propri costi, non è appetibile durante una campagna elettorale. Se si aggiunge poi che siamo nel mezzo di una campagna elettorale surreale, la nostra categoria sembra essere diventata “fantasma”, evaporata nel nulla, dissolta come neve al primo sole. Non una parola in campagna elettorale su cosa ne sarà del nostro settore. Eppure ormai è comprovato che se si spegne una sala teatrale, una sala cinematografica, un luogo di intrattenimento e cultura, si spegne la vita. Durante la pandemia, forse perché lontani dalla corsa elettorale alla poltrona e al collegio blindato, si è capito inequivocabilmente quanto sia fondamentale il ruolo dello spettacolo per una società moderna e sempre più volta all’isolamento virtuale e mediatico e all’inaridimento culturale. Tant’è che alla ripresa delle attività le saracinesche si sono alzate tutte, i sipari si sono aperti e la gente è accorsa. Trovare argomenti, proposte concrete, soluzioni ponderate nei programmi elettorali volti ad affrontare la crisi del settore dello spettacolo, sembra diventata una caccia al tesoro. Il teatro si paga esattamente come dieci anni fa (il cosiddetto “prezzo bloccato” noi lo autoapplichiamo da sempre!) ma costa tre volte di più: legno, ferro, elettricità, lavoro, viaggi, assicurazioni, tutto è triplicato. Ma nell’imminente stagione ci sarà una ecatombe di posti di lavoro, una enorme quantità di sale cinematografiche e molti teatri che non riapriranno più. Adesso i nostri candidati non se ne occupano ma poi – chi andrà a governare – si ritroverà un boomerang che farà realizzare quanta economia si perde se si perde la cultura. Se un’azienda di spettacolo dal vivo chiude i battenti, milioni di Iva, di Irpef, di contributi andranno bruciati. Ma le pensioni dei lavoratori dello spettacolo continueranno a essere erogate. Direttore, lei è attento a ogni risvolto della vita di questo paese, pone sempre domande pertinenti, articolate, argomentate e circostanziate ai suoi interlocutori politici: la prego, faccia una domanda, una sola, per capire se dobbiamo togliere il “disturbo” in silenzio, oppure se c’è un barlume di speranza che qualcuno metta in “agenda” la riforma radicale del settore dello spettacolo dal vivo italiano.
Massimo Romeo Piparo, presidente Atip 

Lo faremo. Grazie.

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