Il ministro dell’economia Daniele Franco durante l’audizione sulle tematiche relative alla riforma fiscale (Foto Mauro Scrobogna /LaPresse)

Lettere

Giù le tasse contro la stagione delle manovre marchette. Firme

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Abbiamo letto il suo editoriale intitolato “Con un tesoretto di 20 miliardi si può fare la rivoluzione fiscale”. Negli ultimi mesi ciascuno di noi, anche tramite l’Associazione M&M – Idee per un paese migliore, ha provato a contribuire al dibattito sulla riforma del fisco. M&M ha elaborato una proposta pubblica sul tema della tassazione d’impresa, inviata a partiti, forze sociali e stakeholder. Essa va nel senso da lei auspicato di un superamento dell’Irap. La nostra proposta prevede l’abolizione dell’imposta, in parte compensata da un moderato aumento dell’Ires. Il razionale per questo intervento risiede, a nostro avviso, nelle seguenti considerazioni: si elimina un’imposta a lungo percepita come vessatoria, la cui base imponibile si è erosa nel tempo ed è oggi oggetto di incertezze interpretative; si semplifica in un’unica imposta, l’Ires, la tassazione sulle attività produttive, semplificando la vita soprattutto alle Pmi che a oggi stentano, nella complessità del sistema, a fare pianificazione fiscale; si rende la tassazione di impresa più trasparente e comparabile, con una singola corporate tax, a quella degli altri paesi. Non è tema accademico, ma tema caro a investitori internazionali che guardano comparativamente ai livelli di tassazione e alla trasparenza del sistema fiscale nei diversi paesi; si ottiene un’imposta, l’Ires, sufficientemente profonda per fare politiche efficaci di incentivo; non ultimo, si tratta in ogni caso di una riduzione materiale della pressione fiscale sulle imprese, in particolare di quelle che non pagano l’Ires. Effetti distributivi perversi su quelle che pagano l’Ires possono essere affrontati con misure compensative. Su questa base riteniamo che il paese guadagnerebbe in termini di semplicità e di minore tassazione nella parte più vitale per la sua economia, cioè le imprese e in particolare le Pmi.
Sergio Abrignani, Alberto Baban, Stefania Bariatti, Orlando Barucci, Valentina Canalini, Manfredi  Catella, Stefano da Empoli, Alessandro De Nicola, Enrico Falck, Francesca Gabrielli, Giulio Gottardo, Luca Jahier, Paolo Ludovici, Giampiero Mazza, Diva Moriani, Roberto Nicastro, Fabrizio Pagani, Aurelio Regina, Alberto Saravalle, Francesco Tamagni

È così. Usare i venti miliardi di extragettito per abbassare le tasse e rimodellarle è la vera rivoluzione a cui la politica dovrebbe lavorare per superare la stagione delle manovre marchette. Forza!


Al direttore - Qualche volta capita di trovarsi un extragettito, leggi minor spesa, tra le mani: dal “tesoretto” di Prodi (regalato in clientelismi vari, sempre gli stessi in verità), al dividendo dell’euro (sperperato in dannatissima spesa pubblica strutturale e clientelare). Perché, oltre al graditissimo taglio alle tasse, e visti i sempre inascoltati richiami al debito-monstre, questa volta non lo utilizziamo per sostituirci alle banche centrali e comprare a mani basse Btp? Uno come Draghi dovrebbe avere le idee chiare a proposito. Sicuro che avremo occasione di non pentircene.
Fabrizio Galluzzi

Con Draghi possiamo finalmente dire che il debito italiano è abbastanza grande da badare a se stesso. Purtroppo non possiamo dire altrettanto del nostro fisco.


Al direttore - Invertire la rotta tornando quantomeno a provare a elevare la fede delle persone alla statura del Vangelo, oppure continuare sulla linea intrapresa da otto anni a questa parte di abbassare l’asticella del Vangelo alla statura della fede delle persone, i cui esiti sono sotto gli occhi di tutti. Sta tutto qui, in questa scelta con cui sempre la Chiesa ha dovuto fare i conti, il dilemma del Sinodo mondiale e dei sinodi locali che impegneranno il popolo di Dio nei prossimi tre anni. A dire il vero la soluzione del dilemma dovrebbe apparire scontata, posto che il problema numero uno, fuori ma soprattutto dentro la Chiesa, è dato da una spaventosa crisi di fede che, almeno in Europa e in occidente, non sembra allentare la presa; il fatto però è che non sembra affatto esserci questa consapevolezza, la coscienza cioè di quale sia “il” problema della Chiesa di oggi, stando almeno all’agenda ecclesiale degli ultimi anni. Al di là delle modalità e delle scelte pastorali, resta di straordinaria attualità il monito di Giovanni Paolo II: “La Chiesa di oggi non ha bisogno di nuovi riformatori. La Chiesa ha bisogno di nuovi santi”. Monito cui fece eco l’allora card. Ratzinger, che nel libro-intervista “Rapporto sulla fede” con Vittorio Messori parlando proprio di riforma e rinnovamento della Chiesa ebbe a dire: “E’ di santità, non di management che ha bisogno la Chiesa per rispondere ai bisogni dell’uomo contemporaneo”. La santità, dunque. Questa è l’unica e vera riforma che serve. Per questo la Chiesa, come diceva il card. Biffi, “non ha bisogno di essere credibile, ha bisogno di essere credente”. Il resto conta poco e niente.
Luca Del Pozzo

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