Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse

Lettere

L'importanza non retorica di riportare l'educazione civica a scuola

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Scindetevi, siete circondati.
Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Dopo la sua sostanziale soppressione a partire dall’anno scolastico 1990-1991, l’insegnamento comunemente definito come “educazione civica” è stato oggetto di alcuni tentativi di riesumazione, volti sostanzialmente a ricondurne dei temi all’interno di altre materie. L’ultimo, in ordine di tempo, risale a una legge approvata nel 2019, all’epoca del governo gialloverde. Non vi è dubbio che l’argomento si presti al contempo ad assumere coloriture paternalistiche ed eticizzanti, o viceversa ad assurgere a semplice elegia del “politicamente corretto”. In entrambi i casi, sul piano scolastico, si rischia di insegnare ai ragazzi ad ascoltare, a ripetere e a obbedire piuttosto che a riflettere e ad argomentare, magari dopo aver ascoltato anche opinioni diverse. Eppure, basterebbe spostare l’asse sui princìpi costituzionali per restituire all’argomento dei contenuti ben precisi, rispetto ai quali l’enunciazione di obiettivi condivisi e dell’inafferabile punto di equilibrio fra libertà individuale e solidarietà sociale si lega all’insegnamento dei basilari princìpi di civiltà giuridica, oltre che delle regole di funzionamento dello stato e della pubblica amministrazione. Mai come in questi anni vi sono state infatti plurime occasioni nelle quali l’invocazione dell’opinione pubblica sui più vari temi di attualità sembrava scontare una cieca indifferenza rispetto all’esistenza di principi inderogabili.

E anche nella collocazione dell’Italia, o magari dell’Europa, nelle complesse dinamiche internazionali della nostra epoca è parso talvolta di intravedere una certa ritrosia rispetto all’orgogliosa rivendicazione della libertà personale e del pluralismo istituzionale che caratterizzano il nostro ordinamento e che non sono invece più così “alla moda” nel mondo globalizzato, spesso alla ricerca di un decisionismo personalistico non privo di riflessi autoritari.

Se questi sono alcuni dei motivi che ci consentono di apprezzare quanto sia importante la diffusione nelle scuole dei valori, dei principi e delle regole costituzionali, volgendo sempre lo sguardo al futuro piuttosto che al passato, vi sono poi alcune ragioni per le quali un simile intervento potrebbe essere attuato con successo dal governo in carica. In primo luogo, il sofferto periodo di pandemia ha posto paradossalmente in primo piano proprio la centralità della scuola e le insidiose forme di sottovalutazione delle sue diverse ricadute civili, sociali ed economiche. In secondo luogo, un governo di unità nazionale appare più di altri legittimato a esprimere dei punti di riferimento condivisi dalle tre diverse formazioni originariamente rappresentate in Parlamento, avendo ben presente quali la solidarietà non può declinarsi in assistenzialismo, che la domanda di partecipazione “dal basso” non si può tradurre in oscure piattaforme telematiche e che l’interesse nazionale non alberga nella facile ricerca di nemici o di capri espiatori interni.  Lontano dai tecnicismi giuridici, la presidente Cartabia è riuscita a incarnare, sulla scia di tanti illustri predecessori, l’idea di una Corte costituzionale al servizio dei cittadini che potesse rappresentare a sua volta unità sociale e rispetto dei princìpi di garanzia. Per questo sarebbe bello pensare che fra le tante riforme alle quali è chiamato il paese ci possa essere spazio per riaffermare, con il dovuto rigore e senza indulgere in facile demagogia, il valore più alto dell’insegnamento scolastico, nel quale il sapere tecnico si lega alle ragioni dello stare insieme, con un pizzico di orgoglio per i princìpi su cui sono stati faticosamente edificati i fondamenti della nazione e su cui speriamo possa essere costruita, con coraggio e lungimiranza, anche l’identità europea.
Francesco Compagna

 

Su questo punto, e sull’importanza non retorica di riproporre a scuola l’educazione civica,  credo abbia detto tutto Sabino Cassese, che a costo di sfidare la noia assoluta del tema ha recentemente offerto uno spunto di riflessione interessante: “E’ uno scandalo che a settant’anni dalla fondazione della Repubblica si debba constatare che essa non sia riuscita a ‘trasmettere se stessa’ ai giovani. Questa è una lacuna enorme nelle nostre scuole, perché c’è una tradizione, una cultura, quella che ha formato – nel bene e nel male – la nostra società, che sfugge alla trasmissione del pensiero attraverso la scuola”. Domanda: ma in una società come la nostra, in cui si è accettato il principio che sia legittimo rimuovere alcuni simboli del passato quando questi vengono ricontestualizzati nel presente, avere un po’ di memoria storica in più potrebbe essere o no un modo per produrre anticorpi utili a combattere nuove e vecchie culture della cancellazione? Forse sì.

 

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