(foto LaPresse)

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Teniamoci stretti Zingaretti come governatore del Lazio

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Per il Pd è veramente un guaio perdere un leader come Nicola Zingaretti. Le sue intuizioni, la sua guida indicavano chiaramente quale fosse, in ogni momento, la strada giusta da seguire. Per essere sicuri di non sbagliare era sufficiente fare esattamente il contrario.  A pensarci bene la sua leadership era una garanzia, alla stregua di un meteo invertito. Per sapersi regolare, bastava sapere che avrebbe piovuto  se avesse indicato bel tempo; e viceversa. Zingaretti collezionava una sconfitta dopo l’altra, ma i dem, prima o poi indotti a fare il contrario, vincevano tutte le battaglie.  Paradossalmente, caro Cerasa, il nostro  è il solo segretario  della maggioranza di Draghi che si dimette quando il suo partito ottiene un successo inaspettato e mentre  i suoi storici avversari si arrendono senza fare una piega.  Anzi, si preoccupano loro che la crisi di nervi di  Nicola Zingaretti non crei problemi alla stabilità del governo Draghi.
Giuliano Cazzola 

 

Libero di pensarla così, anche se una vecchia volpe come lei dovrebbe saper distinguere tra la forza di una leadership e i risultati di un partito. Facciamo però che come governatore del Lazio (dove dal 15 marzo sarà possibile vaccinare anche i 72enni)   ce lo teniamo stretto, ok? 



Al direttore - Eccellente, come sempre, l’articolo di Bucci sul Foglio di ieri. Assodato che i vaccini a Rna sono il futuro, nel breve periodo non sarebbe più utile investire in vaccini più tradizionali, monodose o almeno conservati a temperatura frigo? Non mi sembra escluso che a dicembre si debba di nuovo vaccinare tutta la popolazione ed è imbarazzante che, non dico l’Italia, ma l’Europa non sia stata ancora in grado di produrre qualcosa di iniettabile.
Paolo Martinengo 

 

In realtà, dal prossimo anno in poi qualcosa dovrebbe cambiare, in meglio. Il piano vaccinale del governo prevede l’arrivo di 20 milioni di vaccini in più, a trimestre, a partire dal primo gennaio, e saranno quelli di Sanofi, e arriverà un momento in cui la carenza di vaccini sarà un lontano ricordo come la carenza di mascherine. 


Al direttore - Ho letto con piacere l’intervista di Myrta Merlino pubblicata sul Foglio del 5 marzo. La sua idea di proporre la sottoscrizione “da parte di giornalisti e operatori dell’informazione di un vero e proprio Giuramento di Ippocrate” per affrontare temi caldi come quelli della pandemia è suggestiva, ed evidenzia la necessità di fermarsi a riflettere sul ruolo della comunicazione sanitaria. So che i giornalisti già dispongono di codici etici, come la carta di Perugia o altri. Vi sono anche linee guida internazionali per la comunicazione giornalistica in ambito sanitario, una sorta di decalogo che al primo punto dice “First, try to do no harm” che corrisponde proprio al latino Ippocratico “primum non nocere”. E poi al secondo punto la raccomandazione di verificare sempre fatti e fonti anche a costo di sacrificare l’urgenza dell’articolo. Proprio per questo vorrei riflettere sulla parte che svolge la comunità scientifica, anche rifacendomi a un documento appena pubblicato dalla Consulta cardiovascolare, che riunisce alcune delle più importanti società scientifiche come quella di Medicina interna, Fadoi, della quale sono presidente. I giornalisti come Merlino fanno bene il loro mestiere e non mi permetto di dare consigli. Però in questi mesi per riempire tante pagine di giornale e ore e ore di programmi radio-televisivi capita anche di ascoltare “esperti” che non hanno mai fatto pubblicazioni scientifiche sui temi sui quali sono intervistati. In alcuni casi, anche il contributo dei migliori esperti è stato affiancato a quello di pseudo-esperti o accostato a figure dello spettacolo, divi televisivi, politici e altri personaggi di varia estrazione. Il tutto sotto la formula del talk-show che, ponendo su un piano di parità i diversi interventi, stimola contrapposizioni o veri e propri scontri verbali. Il dibattito scientifico è normale che avvenga e si è sempre svolto nelle sedi opportune e riservate a noi medici e ricercatori. Averlo trasferito negli studi televisivi o sulle pagine dei giornali ha creato la confusa situazione attuale e su questo i medici dovrebbero riflettere. L’auspicio è che la futura comunicazione sia, da parte di medici e scienziati, più sobria, con meno previsioni, con una più netta distinzione dei fatti dalle opinioni e con un accento assai maggiore sulle metodologie e sugli studi necessari per un avanzamento delle conoscenze. Tornando alla proposta di Myrta Merlino di far sottoscrivere ai giornalisti una sorta di Giuramento di Ippocrate, direi invece che sarebbe opportuno che la Comunità scientifica ricordasse di averlo già sottoscritto.
Dario Manfellotto, primario di Medicina interna Fatebenefratelli, Roma, presidente Fadoi (Federazione dei medici internisti ospedalieri)

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