(foto LaPresse)

Cercasi centrodestra non più ostaggio della caccia alle streghe

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Conte, le promesse spese.

Gino Roca


 

Al direttore - La favola prevede che ci siano la fanciulla, San Giorgio, e il drago. Che San Giorgio invece della spada avesse la bisaccia coi soldi, pazienza. Ma il drago dov’era?, la fanciulla l’ha quasi difeso. Senza drago e con una pessima regia, ad alcuni non è piaciuto.

Franco Debenedetti 


 

Al direttore - In un articolo pubblicato il 28 giugno 1953 sul Nuovo Corriere della Sera, Indro Montanelli si chiedeva come Joseph McCarthy, “politico mediocre e grossolano diffamatore”, avesse potuto tenere sotto scacco una grande democrazia facendo leva sulla paura del “pericolo rosso”. Secondo la sua analisi, la caccia alle streghe era una specie di bisogno organico degli americani, che col loro “cupo e fosco fondo puritano non riuscivano a restare fedeli al proprio Dio che in stato di perpetua mobilitazione contro il Diavolo. Un tempo la strega era il fascismo […]. Avantieri era stato l’alcolismo e la prostituzione. E prima ancora il papismo. E i negri, e gli ebrei. Ognuna di queste streghe ha avuto il suo McCarthy; e ognuno di questi McCarthy ha avuto il suo Ku-klux-klan. La legge non li riconosce, anzi severamente li condanna […], ma cosa può la legge contro un’etica e un costume?”. Secondo Montanelli, quindi, il maccartismo non era tanto l’espressione di una tendenza autoritaria, quanto il riflesso di un ethos nazionalistico, di un conformismo culturale che considerava un tradimento ogni fenomeno ostile all’American way of life. “McCarthy – concludeva – è un uomo che fa molto rumore in un paese in cui il rumore è una forma di ‘advertising’, cioè di réclame”. Del resto, anche Harry Truman aveva definito la paranoica campagna anticomunista del senatore del Wisconsin come “la corruzione della verità, l’abbandono del nostro attaccamento storico al fair play […], l’uso della menzogna e dell’accusa senza fondamento contro ogni cittadino, l’ascesa al potere del demagogo […]” (discorso radiotelevisivo del 16 novembre 1953). Vengo al punto. Nel suo (mirabile) pezzo di ieri sul Foglio, Salvatore Merlo si è domandato come da noi si possa giustificare il trapasso dalla destra di Montanelli alla destra di Salvini. Beninteso, i paragoni storici sono sempre arbitrari. Il capo della Lega non è McCarthy (che peraltro era un cattolico clericale) e l’Italia non è paese protestante. Eppure ho l’impressione che oggi il grande giornalista toscano scriverebbe più o meno le stesse cose se dovesse fare il ritratto del leader devoto al cuore immacolato di Maria.

Michele Magno 

 

C’è una differenza importante però. Salvini non tiene sotto scacco una grande democrazia facendo leva sulla paura ma molto più semplicemente tiene sotto scacco il centrodestra. Prima il centrodestra se ne accorgerà e prima l’Italia tornerà ad avere un centrodestra in grado di combattere battaglie diverse dalla quotidiana caccia alle streghe.


Al direttore - Il decreto “Dignità” ha introdotto per le assunzioni a termine “incondizionate’’ (ovvero senza l’obbligo di giustificarne i motivi) il limite massimo di 12 mesi, trascorso il quale il rinnovo del contratto è sottoposto a vessatorie condizionalità (la cui sussistenza, quindi, è sindacabile in giudizio) in mancanza delle quali il rapporto di lavoro con lo stesso dipendente deve essere trasformato a tempo indeterminato. L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha stimato che nel primo semestre di quest’anno verrà a scadenza almeno la metà dei contratti a termine sottoscritti nel periodo corrispondente del 2019, concludendo che – vista la gravissima situazione dell’economia – “è probabile che soltanto in misura estremamente limitata saranno trasformati in posizioni a tempo indeterminato”. Le prime rilevazioni compiute in alcune regioni mostrano che almeno i tre quarti dei posti perduti riguardano lavoratori a tempo determinato (che peraltro non rientrano nel regime di sospensione dei licenziamenti che il governo continua a prorogare mettendo a rischio la possibilità di tornare alle regoli previgenti). Attualmente, però, sarebbe sensato sospendere l’applicazione del decreto “Dignità” al lavoro a termine, almeno per quanto riguarda l’obbligo delle causali. Qualcuno si è posto questo problema?

Giuliano Cazzola 

 

Mi sembra di capire in realtà che il cosiddetto decreto “Rilancio” ha introdotto la possibilità di prorogare i contratti senza precisare la casuale derogando proprio al decreto “Dignità”. Chi lo sa: prima o poi forse anche i grillini capiranno che combattere la flessibilità non vuol dire creare più stabilità ma vuol dire creare più disoccupazione.


 

Al direttore - Si dice che in Italia tutti al bar siano allenatori della nazionale e sembra che molti pensino questo anche della psicologia. Non solo sentendosi “un po’ psicologi”, ma ponendosi come esperti ed esprimendo giudizi anche se ne sanno poco o nulla. Un dato che è sotto gli occhi di tutti: in questa pandemia i media sono pieni di persone che parlano di psicologia e danno consigli pur non essendo dei professionisti in questo campo. O che esprimono valutazioni molto fantasiose della psicologia stessa e della professione. Non è solo un problema di rispetto delle leggi, in Italia la psicologia come pratica professionale è riservata agli iscritti all’Ordine degli psicologi istituito nel 1989, è soprattutto un problema di competenze accertate, di controllo pubblico delle stesse e di tutela dei cittadini. L’idea di una professione che si muove senza basi scientifiche è sbagliata, forse legata a visioni superficiali o antichi stereotipi. Tanto è vero che il Parlamento, con la legge 3/18, ha incluso la professione psicologica tra quelle “sanitarie”, vale a dire che si occupano direttamente della tutela della salute, come i medici o gli infermieri. Ciò non esclude che i singoli professionisti, in questo campo come negli altri, possano a volte fare errori: gli ordini professionali servono anche a questo. Ma da ciò non si può certo generalizzare, sarebbe assurdo e meramente strumentale. Siamo stanchi di sentire che la psicologia “sono solo chiacchiere”, o di vedere che persone estranee alla professione o che esercitano altre professioni ritengano di parlare a nome della psicologia o persino facciano progetti in campo psicologico. La collaborazione tra le professioni è fondamentale, perché la salute è una realtà complessa. Ma la collaborazione si basa sul riconoscimento e rispetto delle competenze e del “chi fa cosa”, altrimenti si fa solo confusione e rischio di danno. Se vogliamo stare dalla parte dei cittadini evitiamo azioni fuorvianti, lasciamo che ogni professione si occupi di ciò che conosce. Già a volte è difficile far capire, ad esempio, le differenze tra psicologo e psichiatra, che rappresentano tuttavia discipline e professioni diverse. La pandemia ci chiede massima collaborazione e mobilitazione: facciamola nella chiarezza con vantaggio di tutti.

David Lazzari, presidente nazionale Ordine degli psicologi

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