Sergio Mattarella (foto LaPresse)

Mattarella sulle foibe: un cambio di passo? Lettera a G. Valentini

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Un bacione? Amici? Avvocati?

Giuseppe De Filippi

  

Al direttore - Il giornalista del Fatto Giovanni Valentini insisteva ieri su una circostanza che per i lettori di questo giornale è lampante, e che non sia chiara per lui dice della difficoltà nella lettura dei giornali da parte di un eccellente professionista del settore. Aver pubblicato un articolo di dissenso dalla linea del Foglio sul governo del contratto, a firma di Valter Mainetti, proprietario della testata e amico leale della ditta, come facemmo nell’estate del 2018, sotto il titolo “LA VOCE DEL PADRONE”, con annesso un breve corsivo di presa di distanza del direttore, voleva significare che il dottor Mainetti non è il “padrone" del Foglio e come tale d’altra parte, da gentiluomo, si comporta. L’ironia è del diavolo, d’accordo, ma il caro Giovanni dovrebbe essere meno angelico. Saluti.

Giuliano Ferrara

Al direttore - Ho letto che Sergio Mattarella, nel giorno del ricordo delle foibe, ha utilizzato un’espressione che mai avevo sentito pronunciare a un politico proveniente dal mondo del cattolicesimo democratico: pulizia etnica. “Queste terre, con i loro abitanti, alla fine della Seconda guerra mondiale, conobbero la triste e dura sorte di passare, senza interruzioni, dalla dittatura del nazifascismo a quella del comunismo. Quest’ultima scatenò, in quelle regioni di confine, una persecuzione contro gli italiani, mascherata talvolta da rappresaglia per le angherie fasciste, ma che si risolse in vera e propria pulizia etnica, che colpì in modo feroce e generalizzato una popolazione inerme e incolpevole”. Che significato può avere questa scelta?

Luca Martoni

Parole impeccabili. Chissà che non abbia ragione chi sostiene che il presidente della Repubblica stia davvero iniziando a muoversi per provare un domani a rafforzare, in Parlamento, la sua maggioranza presidenziale.

 

Al direttore - Tutto vero e tutto giusto, signor direttore: il blocca-prescrizione di Bonafede è figlio tanto del giustizialismo progressista anti Cav. che della sua involuzione comico-manettara anticasta. Altrettanto giusta e vera, quindi, la constatazione che il Pd lo stia contrastando col freno a mano tirato in imbarazzato ossequio a quell’antico, ma tuttora attivo, riflesso identitario. Mi permetta, tuttavia, di sottolineare, da persona informata dei fatti, che a tale deriva ha contribuito anche un centrodestra apparso troppo spesso garantista solo per il Principe e non anche per il principio.

Mario Landolfi

Il garantismo è al cento per cento o non è. E chi lo usa al cinquanta per cento piuttosto che fare il gioco dei garantisti fa il gioco dei giustizialisti (e un politico, per citare un esempio a caso, che considera uno straniero un nemico fino a prova contraria garantista ovviamente non lo è).

 

Al direttore - E’ vero, il celibato sacerdotale non è un dogma di fede. Ed è altrettanto vero che da sempre tra gli uomini di Dio ha allignato la lussuria (uno piuttosto ferrato sull’argomento si chiamava Lutero). Per carità, nulla di cui scandalizzarsi. Per dire, un mio vecchio professore di Diritto canonico era solito ricordare una battuta molto in voga ai tempi in cui frequentava il seminario, che più o meno suonava così: “La castità sacerdotale è una virtù che si tramanda di padre in figlio”. Ma né l’umana debolezza, né tanto meno – come vorrebbe certa narrativa – il presunto legame tra celibato e pedofilia (fenomeno questo, per altro statisticamente irrilevante, legato piuttosto all’omosessualità, questa sì dilagante, tra le fila del clero) o la crescente carenza di sacerdoti, in Amazzonia come altrove, sono buoni motivi per rivedere la disciplina del celibato. Tra l’altro, anche laddove – vedi le comunità protestanti – del celibato non c’è manco l’ombra, non solo non risulta che tali comunità (in primis Germania) brillino per una fede da fare invidia, ma quel che più conta non si è arrestata ed anzi è sempre più grave l’emorragia dei fedeli. Vorrà dire qualcosa? In tale ottica non si può non plaudire l’esortazione apostolica “Querida Amazonia” che non ha aperto ai viri probati come auspicava il documento finale del Sinodo. Per l’Amazzonia come altrove occorre andare alla radice del problema. Se c’è carenza di preti, e fermo restando che l’eucarestia non è un diritto, la soluzione non è abbassare l’asticella – magari pensando in questo modo di arginare, soprattutto in Sudamerica dove il fenomeno è dilagante, l’esodo di massa dei cattolici verso la sponda evangelica rincorrendo i protestanti sul loro stesso terreno – ma riproporre il Vangelo nella sua integralità, senza sconti, senza addolcire la pillola, senza compromessi di sorta. Prova ne sia, lo abbiamo già detto ma vale la pena ribadirlo, che laddove il Vangelo viene proposto e vissuto in maniera autentica e seria (vedi i movimenti laicali ecclesiali) le vocazioni fioriscono a migliaia. Altrimenti si rischia di mettere una toppa peggiore del buco. I vescovi tedeschi sono avvisati.

Luca Del Pozzo

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