Alfonso Bonafede (foto LaPresse)

Tre prove per il centro. Sfiducia a Bonafede: istruzioni per l'uso

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 5 febbraio 2020

Al direttore - Fase 2 dopo Iowa o dopo Sanremo?

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Stefano Bonaccini ha vinto in Emilia-Romagna anche perché gli è stata attribuita e riconosciuta una “buona amministrazione”. Come può allora il Pd rassegnarsi a candidare in Puglia (che è una regione molto importante della prossima tornata elettorale) un personaggio come Michele Emiliano, responsabile di collaborazione (neanche tanto) esterna in tutti i disastri abbattutisi su quel territorio? Cominciamo dall’ex Ilva dove il governatore ha fatto parte della combriccola che avrebbe visto volentieri la chiusura di quello stabilimento e operato in tal senso. Poi c’è stato il referendum antitrivelle e la guerra al Tap. Ma niente è peggio della gestione dell’epidemia di Xylella. Pur di non abbattere – da subito – un migliaio di ulivi infetti, sono state condannate a morire d’inerzia milioni di piante. Chi attraversa il Salento ha l’impressione di trovarsi in mezzo a un grande cimitero di guerra dove gli ulivi spogli e rinsecchiti rievocano una distesa di croci. E’ stato il popolo a volere così? Ma allora a che cosa serve un governatore?

Giuliano Cazzola

Il caso Puglia ci offre una buona occasione per ricordare che i partiti di centro, se vogliamo chiamarli così, hanno una piccola autostrada da percorrere per creare un’alternativa al populismo di destra e di sinistra. Tre idee semplici per Renzi e Calenda: candidare subito Calenda a Roma, in vista delle comunali del 2021; candidare subito, portandola con loro, Mara Carfagna a Napoli, in vista delle comunali del 2021; candidare subito Teresa Bellanova come presidente della regione in Puglia. Vale la pena pesarsi. Vale la pena provarci. E poi chissà.

 


 

Al direttore - Sfiducia per Bonafede; istruzioni per l’uso. Per avere definitivamente la meglio sulla resistenza che il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, sta tentando d’imbastire contro le vivaci e fondate critiche che sono state espresse all’indirizzo della riforma della prescrizione, non ultimo da esponenti autorevoli della magistratura e da ampi settori dell’Avvocatura, a quanto pare potrebbe farsi strada l’idea della sfiducia individuale nei confronti del Guardasigilli.

Nessuno ancora ne parla esplicitamente, ma l’idea di mandare a casa l’attuale titolare di Via Arenula potrebbe rappresentare l’uovo di Colombo per liberarsi di una delle peggiori riforme dell’ordinamento giuridico mai attuante nel nostro paese senza assestare, nello stesso momento, turbolenti scossoni all’esecutivo nel suo complesso.

Il senso di responsabilità di alcune frange dell’opposizione, la determinazione di alcune forze politiche che sostengono il governo, la confusione che regna sovrana all’interno del principale partito di maggioranza e la speranza che anche fra chi sino a questo momento non ha avuto il coraggio di esporsi alberghi un senso di ripulsa nei confronti del “fine processo mai”, potrebbero consentire di raggiungere i numeri per porre termine all’esperienza ministeriale dell’esponente del movimento Cinque stelle.

Del resto si tratterebbe solo di ripetere quanto accaduto nell’ormai lontano 1995, allorché al Senato della Repubblica fu messa ai voti e successivamente approvata la mozione di sfiducia individuale nei confronti dell’allora ministro della Giustizia Filippo Mancuso.

In quell’occasione, la Corte costituzionale dovette pronunciarsi sul ricorso per conflitto di attribuzioni fra poteri dello stato sollevato dal ministro e si espresse a favore della sfiducia individuale.

Si affermò nella sentenza che il silenzio della Carta sull’argomento non può certo autorizzare a ritenere estranea all’articolazione dei rapporti fra governo e Parlamento la decadenza di un singolo componente del Consiglio dei ministri per volere di una o entrambe le Camere.

Vero è, disse la Consulta, che “l’attività del governo deve ispirarsi al criterio della collegialità”, ma da questo principio non è possibile dedurre che tutti i componenti dell’esecutivo sono legati da un medesimo destino che determina obbligatoriamente la simultanea permanenza in carica o la contestuale cessazione dalla medesima.

Quanto poi all’obiezione secondo la quale sarebbe impensabile una censura del Parlamento nei confronti di un singolo ministro e non già dell’intero governo, la Corte al tempo chiarì come, da un lato, è la stessa Costituzione a prevedere anche la responsabilità individuale dei singoli ministri per gli atti assunti nei loro dicasteri, dall’altro, è sempre riservata al presidente del Consiglio dei ministri la possibilità d’investire le Camere della questione di fiducia sull’intero esecutivo, qualora il capo del governo dovesse ritenere di condividere in toto l’operato del ministro.

La sfiducia individuale, affermarono in conclusione i giudici costituzionali, rappresenta un giudizio politico insindacabile del Parlamento, che può trovare giustificazione per censurare qualsiasi condotta del ministro, compresa, si potrebbe aggiungere, la promozione e la strenua difesa di una legge voluta in passato dalle stesse Camere e poi rivelatasi in contrasto con la mutata configurazione della maggioranza che sostiene il nuovo esecutivo.

Con un consenso politico almeno in parte bipartisan fra le forze parlamentari si potrebbe impartire una grande lezione di diritto a un giovane avvocato che ha dimostrato di avere un’idea davvero inaccettabile dei rapporti che devono intercorrere tra lo stato e il cittadino. Non si perda tempo.

Rocco Todero

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