L'Italia a due velocità non è quella che si divide tra nord e sud

Le lettere al direttore del 20 dicembre 2019

Al direttore - Tra un po’ viene fuori pure che il mojito era gazzosa.

Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Rompendo un lungo e surreale silenzio, il Mezzogiorno è tornato nuovamente agli onori della cronaca grazie alla crisi di un grande polo industriale, a uno scandalo bancario, a una bizzarra polemica contro il presunto egoismo di Milano. Non c’è da rallegrarsene. Il meridionalismo migliore – quello di Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini, solo per fare due nomi – ha sempre saputo analizzare le ragioni profonde del suo ritardo e le responsabilità della sua “borghesia lazzarona”, che prosperava nelle pieghe del sottopotere. Cosa rimane oggi di quel meridionalismo? Molto poco, se non qualche piagnisteo neoborbonico sui fallimenti del mercato e sulla “secessione dei ricchi”. Al contrario, andrebbe ammesso senza ipocrisie che l’intervento pubblico nel sud si è trasformato da soluzione in problema. Livelli di spesa svedesi e civismo latinoamericano si sono convertiti in una macchina del consenso che ha oliato gruppi affaristici e consorterie partitiche, burocrazie amministrative e clan criminali. Clientelismo e assistenzialismo hanno così foraggiato una coalizione della rendita parassitaria e un “capitalismo politico” che spiazzano chi vuole operare correttamente sul mercato legale. Il Mezzogiorno, quindi, va liberato da un sistema di incentivi che ha distorto profondamente la sua crescita economica e i processi di selezione delle classi dirigenti locali, e che tutto ciò che offre ai ceti più forti in convenienza lo toglie alle giovani generazioni in opportunità di vita. Deve invece poter contare su uno stato impegnato nelle sue funzioni essenziali, e solo in esse: amministrare la giustizia, garantire la sicurezza dei cittadini, fornire servizi sanitari ed educativi decenti, infrastrutturare il territorio. Deve dotarsi, inoltre, di quelle capacità progettuali che sono indispensabili per utilizzare con profitto i finanziamenti europei nei campi dell’innovazione tecnologica e del risanamento urbano. A Napoli come a Bari e Palermo non mancano le energie imprenditoriali, sociali e intellettuali pronte a raccogliere questa sfida. Ma devono essere aiutate da Roma ad aiutarsi da sole, certo non mediante sostegni al reddito e pensionamenti anticipati elargiti a fondo perduto in un mercato del lavoro stagnante. Uno spreco enorme di risorse della collettività, destinato a rinfocolare quei sentimenti di stanchezza e sfiducia che sono dilagati dopo decenni di retorica meridionalista. In questo senso, non promette nulla di buono che il governo rispolveri la vecchia logica dei piani e provvedimenti straordinari, ancorché chiamati contratti di programma e contratti di rete. Infatti, “il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali” (Antonio Gramsci, “Il grido del popolo”, aprile 1916).

Michele Magno

Tutto giusto ma con un appunto. I problemi del Mezzogiorno, in realtà, non sono problemi che riguardano il Mezzogiorno ma sono problemi che riguardano tutti quei pezzi d’Italia che ogni giorno si rifiutano di fare i conti con i guai del nostro paese. Non esiste una strutturale Italia a due velocità. Esiste un’Italia che accetta la concorrenza e una che invece la teme. Esiste un’Italia che scommette sulla produttività e un’altra che invece non ci scommette. Esiste un’Italia che combatte il nanismo industriale e un’altra che invece lo alimenta. L’Italia a due velocità non è quella che vive nel confronto tra nord e sud ma è quella che vive in un altro confronto: tra settori che accettano la sfida della globalizzazione e settori che invece si difendono dalla globalizzazione.

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