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Roma e la non differenza tra un giorno di sciopero e uno senza sciopero

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Caro Cerasa, lo sciopero è un diritto costituzionalmente garantito. Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali però, non deve bloccare il mondo dell’erogazione di un “servizio” e non deve ledere l’utenza che spesso subisce il diritto senza che i doveri siano complessivamente osservati dagli attori in causa (sindacati, lavoratori, datori di lavoro, commissione di Garanzia, istituzioni). Ciò che reputo inaccettabile è che su una città come Roma, “il più grande operatore nella gestione integrata dei servizi ambientali” con socio unico il comune di Roma, faccia un comunicato del genere “l’azienda fa appello al senso civico e alla collaborazione di tutti i romani affinché nella giornata di venerdì 25 ottobre, data in cui è stato indetto uno sciopero dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e Ugl, si eviti il conferimento delle varie frazioni di rifiuto per non sovraccaricare le postazioni di cassonetti stradali”. Lei che ne pensa?

Andrea Zirilli

Penso che Roma sia ormai l’unica città in Italia in cui i cittadini con grande compostezza non percepiscono grande differenza tra i giorni in cui i mezzi pubblici scioperano e i giorni in cui non scioperano, fottendosene degli autobus che si infiammano, delle metro che non riaprono, dei taxi che non passano. Roma è indolente, affaticata, martoriata, indifferente – ed è bellissima anche per questo.

 

Al direttore - Forse era prevedibile, ma non appena si è arrivati agli ultimi giorni del mandato di Mario Draghi al vertice della Bce, ecco immediatamente spuntare lo strologare sulle nuove cariche che potrà assumere. Fra queste, nello schieramento di opposizione al governo, con maggiore o minore enfasi a seconda dei casi, già si ipotizza un Draghi alla testa di un governo tecnico. Non è ben chiaro se ciò è dovuto all’intento di contribuire in questo modo all’auspicata (da loro) caduta dell’esecutivo oppure se si vuole mettere, senza interruzioni, a nuovo frutto il talento dell’ancora presidente. Chi conosce Draghi e ricorda i suoi reiterati rifiuti di candidarsi a un tale incarico non può che considerare strumentale questa che vorrebbe apparire (ma non lo è) come una profezia. D’altro canto, una cosa è fare il banchiere di una Banca centrale tra le più importanti del mondo dotata di professionalità, di culture, di saperi straordinari, altro è stare alla testa di un governo: le qualità, le competenze, le esperienze richieste sono nettamente diverse, senza che si debba prendere esempio dall’attuale situazione. Vi è poi chi preconizza, allo scadere del settennato di Sergio Mattarella, l’ascesa al Colle dell’ex governatore della Banca d’Italia. Questi, però, a un domanda rivoltagli a proposito di nuove cariche ha risposto scherzosamente di chiedere alla moglie, forse volendo indicare anche l’esigenza di una certa compatibilità con la vita famigliare. Comunque non sarebbe quanto mai opportuno non inoltrarsi, da parte di politici, in questo presunto “totonomine” anche avendo presenti i limiti non giuridici, ma sostanziali e le incompatibilità che pesano sulle eventuali scelte di chi è stato al vertice di una istituzione quale la Bce, ammesso che abbia la propensione (e così dovrebbe essere) a non vestire i panni di Cincinnato? Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

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