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Un monocolore grillozzo sì, un governo giallorosso no. Non con noi

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il governo si arresta, dice Conte. E butta la chiave?

Giuseppe De Filippi

Lo spettacolo dei populisti che dopo aver votato l’abolizione della prescrizione si rinfacciano ora di essere poco interessati al rispetto dello stato di diritto. Risate, popcorn.

 

Al direttore - Sono laziale fin dalla più tenera età. Capirà, quindi, che non posso tifare per un governo giallorosso. #senzadime.

Michele Magno

Un monocolore grillozzo sì, un governo giallorosso no. Non con noi.

 

Al direttore - Nel mentre la congiuntura politica è nella fase delle manovre tattiche, è possibile ragionare sulla necessità di dare un orizzonte e un respiro strategici alla crisi della politica? E’ quello che con lodevole impegno e ottimi frutti ha fatto Alessandro Barbano, con il saggio “Manifesto per una democrazia liberale dotata di un futuro” (Il Foglio 15 agosto): quali possono essere i punti programmatici e di sostanza – egli si chiede – in grado di concretizzare lo “spirito riformatore” di un rinnovato incontro tra liberali, cattolici e riformisti laici, per superare lo stallo che la democrazia italiana vive “… dal 4 marzo 2018 e che rischia di replicarsi…” dinnanzi alla crisi politica in corso? Un incontro nel quale – aggiungo – possano riconoscersi gli italiani che non si identificano né in una destra salvinista e illiberale, né nelle opposizioni come oggi si configurano e agiscono? Ha ragione Barbano quando afferma che l’alternativa al nazional-populismo di leghisti e grillini non può essere ridotta al problema di ricercare un anti Salvini, quasi che la crisi dell’opposizione sia la mancanza di leadership. Piuttosto c’è un limite di cultura politica che riguarda, a ben vedere, l’insieme delle forze politiche, sedimentatosi nel corso di decenni sul terreno della delega politica, ovverosia del rapporto che le élite e gli italiani elettori hanno con il potere politico, sia all’atto della scelta e della legittimità elettorale della rappresentanza parlamentare, sia in quello degli effetti delle politiche di governo sul rinnovamento dello stato e della società italiani. Ricordiamolo: da molto tempo – nelle élite e, conseguentemente, negli italiani – domina l’idea che sia sufficiente cambiare il/i politico/i di turno al potere perché i cittadini di questo paese possano stare meglio, la politica essere cambiata, la democrazia salvaguardata, il sistema essere efficiente e ben governabile. Da una tale logica discende l’insistente rifiuto dei cittadini all’indirizzo di qualsivoglia tentativo strutturato di riforma che – trasformando regole, procedure e istituzioni – punti ad affermare il rovescio dello schema testé descritto: cambiare il sistema per consentire di cambiare i politici. Nella storia italiana dell’ultimo quarantennio, difatti, ha sempre prevalso (e continua a prevalere) la prima modalità dell’idea di cambiamento: chi può negare che anche nel referendum costituzionale del dicembre 2016 la totalità degli italiani del No alla riforma abbia votato avendo in testa non già i contenuti del quesito referendario, ma l’obiettivo di abbattere Renzi e il suo governo? Come è ugualmente avvenuto in altri precedenti snodi cruciali della storia politica dell’Italia? E’ lo stesso schema che vediamo prevalere nei giochi politico-parlamentari di questi giorni. Si fermi e si abbatta il tal politico cattivo e odiato per affermare il tal altro politico buono e amato: e così avremo la difesa della democrazia, un sistema efficiente e governabile e condizioni di vita migliori per tutti. Ma l’esperienza dimostra che per questa strada non si sono avuti i frutti sperati, ovverosia un sistema più efficiente e stabile e una politica cambiata. Si è andata piuttosto aggravando la crisi dell’ordinamento della Repubblica, fino al marasma del sistema proporzionale e parlamentare esploso in questa legislatura.

Per fermare Salvini o un altro nazional-populista è illusorio pensare di farlo scegliendo a tavolino un anti Salvini. Occorre rovesciare la logica: avere una visione e proporre una riforma sistemica della delega politica, da cui possa scaturire – nel fuoco di una legittimità popolare consacrata con il voto – una leadership liberale ed europeista.

Alberto Bianchi

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