Leonardo Sciascia (foto LaPresse)

Premessa al “Giorno della civetta” che un buon editore dovrebbe considerare

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Procura di Milano contro il Csm romano. Italia, del nord, dei valori.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Ho letto che ai maturandi è stato offerto ieri un passo del “Giorno della civetta” di Leonardo Sciascia. Tra le molte cose lette su internet, ho trovato una vecchia frase del grande Andrea Camilleri. “E’ uno di quei libri che non avrei voluto fossero mai stati scritti. Ho una mia personale teoria. Non si può fare di un mafioso un protagonista, perché diventa eroe e viene nobilitato dalla scrittura. Don Mariano Arena, il capomafia del ‘Giorno della civetta’, giganteggia. Quella sua classificazione degli uomini – omini, sott’omini, ominicchi, piglia ’n culo e quaquaraquà – la condividiamo tutti. Quindi finisce con l’essere indirettamente una sorta di illustrazione positiva del mafioso e ci fa dimenticare che è il mandante di omicidi e fatti di sangue. Questi sono i pericoli che si corrono quando si scrive di mafia. La letteratura migliore per parlare di mafia sono i verbali dei poliziotti e le sentenze dei giudici”. Non condivido, ma Camilleri naturalmente ha centrato il punto: “Il giorno della civetta” è un grande libro anche perché ha ricordato che per combattere la mafia la devi prima conoscere.

Luca Marini

Nel 1972, Leonardo Sciascia, in occasione della ristampa del “Giorno della civetta” in una edizione Einaudi, pubblicata all'interno di una collana di letture per le scuole medie, scrisse una piccola premessa al suo libro, nella quale si preoccupò di ricordare che nell’anno in cui venne scritta l’opera il governo allora in carica negava l’esistenza della mafia, nonostante ci fossero già all'epoca, secondo Sciascia, buone ragioni per non negarne l’esistenza. Sarebbe bello che oggi, in occasione di una possibile ripubblicazione del “Giorno della civetta”, un qualche editore avesse il coraggio di inserire se non un’avvertenza quantomeno una premessa al libro, per ricordare quello che in molti si ostinano a non voler vedere. La mafia incarnata da don Mariano Arena è stata sconfitta, ma proprio coloro che l’hanno sconfitta, ovvero i nostri capitan Bellodi, sono stati trasformati in antieroi da coloro che giustamente lo stesso Leonardo Sciascia aveva definito i professionisti dell’antimafia. “L’antimafia – scrisse Sciascia nel 1987 sul Corriere della Sera – è stata allora strumento di una fazione, internamente al fascismo, per il raggiungimento di un potere incontrastato e incontrastabile”. Rispetto ai tempi del “Giorno della civetta”, quasi tutto è cambiato. Possiamo dire che sono davvero cambiati anche i professionisti dell’antimafia?

 

Al direttore - Caro Cerasa, ho letto con interesse l’articolo sul rapporto università e impresa pubblicato dal suo giornale qualche settimana fa. Trovo più che opportuno interrogarsi e riflettere sul tema delle competenze e dello “skill mismatch” tra la domanda e l’offerta di lavoro, soprattutto per quel che riguarda i laureati. Le parole del Prorettore Ciucciovino dell’Università Roma Tre, contenute nell’articolo, evidenziano alcuni aspetti che ingessano questo incontro tra i desiderata delle imprese e le competenze che i ragazzi maturano nel loro percorso di studi. Sono senza dubbio ostacoli importanti la rigidità dei curriculum formativi dovuta a ragioni burocratiche e il disallineamento, spesso solo comunicativo, tra i profili cercati dalle aziende e la codificazione degli sbocchi professionali. Ma l’intervento del Prorettore, a mio avviso, evidenzia come sia già in atto un cambio di passo importante che smentisce, in qualche modo, il titolo dell’articolo, perché imprese e università hanno cominciato a parlarsi molto di più. Non a caso, fin dall’inizio della mia presidenza, nel 2016, ho voluto porre un’attenzione particolare e non marginale al rapporto tra l’ecosistema della formazione e della ricerca e il tessuto imprenditoriale della nostra regione. Com’è noto nel Lazio vantiamo una concentrazione di università e centri di ricerca quasi inarrivabile a livello europeo. Da qui nasce l’idea dell’accordo quadro tra Unindustria e le sette principali università della regione, tra cui Roma Tre, per valorizzare al massimo il dialogo tra imprese e atenei, sia dal punto di vista del trasferimento tecnologico, sia per l’allineamento tra i percorsi di studio e i profili professionali richiesti dalle imprese. Abbiamo iniziato un percorso, chiamato “Presentazione di eccellenze”, che punta a far incontrare innovazioni di punta dei vari atenei con gruppi selezionati di aziende. Lo scorso 16 maggio abbiamo portato 20 aziende manifatturiere, soprattutto Pmi, a conoscere da vicino due realtà molto importanti dell’Università La Sapienza che lavorano su modellazione 3D e nanotecnologie applicate all’ingegneria. Per quanto riguarda le competenze curricolari stiamo partecipando alla progettazione dei corsi di studio portando all’attenzione proprio quei “job title” su cui le imprese hanno difficoltà a completare i loro organici, come sta accadendo, ad esempio, nel settore farmaceutico. Il paradigma 4.0 non è una questione esclusivamente tecnologica, lo abbiamo capito, ma probabilmente ci sfugge ancora la portata complessiva di questa trasformazione che è industriale, sociale e, probabilmente, più globale di qualsiasi altro passaggio storico le economie moderne abbiano mai affrontato. Il lavoro non finirà, ma cambierà, anche radicalmente. Professioni oggi considerate di nicchia saranno presto molto diffuse. Nonostante un gap evidente di risorse con altre realtà internazionali, le nostre università sono eccellenti, tant’è vero che altre nazioni beneficiano ogni anno di 28 mila dei nostri laureati: colpa di un sistema-paese con poca attrattività e, spesso, non a misura di talento. Siamo di fronte a un passaggio culturale importante nel modo di concepire l’uomo rispetto al lavoro e alla sua formazione, a tutti i livelli: il mondo accademico e quello imprenditoriale ne sono ben coscienti. Imprese e università hanno iniziato un rapporto fitto e ricco di iniziative, ma hanno bisogno di essere più ascoltate e supportate da chi deve garantire, per mestiere e responsabilità, una visione credibile allo sviluppo del paese.

Filippo Tortoriello presidente di Unindustria

 

Al direttore - “Sconcertati da logiche romane. E’ un mondo che non appartiene ai magistrati del nord”. Ecco il procuratore di Milano Francesco Greco risolve tutto richiamando una questione etnico-geografica. Tra l’altro lui di famiglia napoletana poi trapiantata nella capitale. Insomma allude al vecchio porto delle nebbie. Lui stretto sodale del suo predecessore Bruti Liberati che sulle indagini di Expo avrebbe qualcosa prima o poi da raccontare. Da giovane era stato un sovversivo, parte di quella minoranza di Md una sparuta pattuglia che si oppose strenuamente alle leggi e alle logiche dell’emergenza. Francesco Greco non invecchia bene e a due anni dalla pensione sta facendo di tutto per non dare il meglio di se.

Frank Cimini

Di più su questi argomenti: