Matteo Salvini e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Immigrazione: che differenza c'è tra Salvini e Di Maio? Viva Dal Lago

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 29 gennaio 2019

Al direttore - Telodoio techetechetechete.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Dice giustamente Antonio Polito su Twitter: “Ma se Di Maio vuole oggi autorizzare un processo contro Salvini per sequestro di persona per il caso Diciotti, perché mai non l’ha fermato al momento del presunto reato, visto che è al governo con lui?”. Già, caro Cerasa, perché non l’ha fatto?

Giuseppe de Rinaldis

Per chi non se ne fosse ancora accorto, e per chi cioè continua a cadere nel tranello del governo molto diviso a causa delle incompatibilità presunte tra Salvini e Di Maio, il vero dramma dell’Italia, ciò che rende particolarmente instabile oggi il nostro paese, non è legato a ciò che Lega e M5s vorrebbero fare ma non riescono a fare: è legato esattamente a tutto quello che i due partiti al governo stanno facendo. E questo vale sia quando parliamo di economia sia quando parliamo di immigrazione. E ieri, sull’Huffington Post, lo ha spiegato benissimo il sociologo Alessandro Dal Lago. “L’alleanza tra queste due forze è pericolosissima, direi persino terrificante. Non è solo Salvini: è l’intero governo il responsabile di scelte infami, come quella di bloccare delle persone in un porto, tenerle al freddo, esibendole, di fronte all’opinione pubblica, come un trofeo: il simbolo della fermezza dello stato fatta valere contro delle persone inermi. Tutto ciò è rivoltante”. Dal Lago poi ha aggiunto un dettaglio ulteriore che ci permette di capire perché non esiste alcun accanimento giudiziario nei confronti di Salvini. “La sinistra commise degli errori enormi nella battaglia contro Berlusconi. Arrivò a vivisezionare la sua vita privata e poi a criminalizzarla. Oggi è diverso. Nessuno sta giudicando la vita privata degli uomini che rivestono cariche di governo, in particolare di uno come Salvini. In discussione sono i loro atti politici”. E per questo, aggiungiamo noi, quegli atti politici meritano di essere processati, esattamente come richiesto da Salvini. Ricordate? 27 agosto 2018, Libero: “Se il tribunale dei ministri dirà che dovrò essere processato andrò davanti ai magistrati a spiegare che non sono un sequestratore. Voglio proprio vedere come andrà a finire”. Ok: vediamo come va a finire #NonMollareSalvini.

 


 

Al direttore - Mai l’Italia ha avuto un governo così estremista, anzi un governo fondato sulla somma di due estremismi, entrambi assai pericolosi, l’estremismo grillino giustizialista, anticapitalista e antiparlamentare e quello leghista, nel quale oggi la componente razzista prevale anche su quella che esprime gli interessi della piccola e media impresa. Questi due estremismi stanno producendo danni rilevanti sia all’economia italiana, sia al ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo, ma finora tutto ciò ha avuto scarsi riflessi sul terreno del consenso per una molteplicità di ragioni, ma anche perché finora risultano flebili o contraddittorie le voci delle più importanti forze d’opposizione. Il futuro prossimo ci dirà se Berlusconi riuscirà a rilanciare se stesso e Forza Italia, in questa occasione vogliamo concentrare però la nostra attenzione sul Pd. Certamente sarebbe giusto, ma è astratto, ipotizzare una rifondazione totale del principale soggetto politico della sinistra. Era però auspicabile e anche ragionevole che, nelle forme possibili, avvenisse almeno un’incisiva ed efficace ristrutturazione di questa forza politica. Francamente non ci sembra che ciò stia avvenendo. Dopo la sequenza spettacolare di uno straordinario successo di Renzi alle elezioni europee del 2014 e di due altrettanto straordinari insuccessi nel referendum del 2016 e alle elezioni del 2018, con i materiali politici, umani e culturali a disposizione a nostro avviso l’unica operazione dotata di spessore politico autentico sarebbe stata quella di una elezione a segretario di Marco Minniti, perché egli da un lato esprime in modo compiuto il passaggio da un passato comunista ad un presente socialista-riformista, dall’altro lato nell’esperienza di governo proprio sul nodo cruciale dell’immigrazione ha cercato, in parte riuscendovi, di costruire una sorta di terza via fra un’accoglienza totale e priva di filtri e l’attuale rifiuto altrettanto totale di ogni ingresso per di più accompagnato dal barbarico smantellamento di ogni forma di accoglienza. In più la segretaria di Minniti avrebbe consentito di combinare insieme il meglio del renzismo (che con tanti errori ha avuto anche un’indubbia carica innovativa rispetto a tanto continuismo di stampo post berlingueriano) con altre posizioni significative emerse nel Pd, in primis quelle di Paolo Gentiloni. Invece sta avvenendo esattamente il contrario. Sia il confronto fra Zingaretti e Martina sia la possibile vittoria di Zingaretti si collocano proprio sul terreno del continuismo più marcato rispetto alla “ditta post Pci” e a quella della sinistra democristiana. L’unica discontinuità è indubbiamente quella rispetto a Renzi, ma non è affatto detto che ciò sia positivo perché rischia di configurarsi come una sorta di feedback con la proiezione del film “Come eravamo”, né il panorama cambia grazie al documento Calenda perché esso è soltanto un testo scritto in un buon italiano, con alle spalle un’aggiornata bibliografia, ma non esprime nessuna reale novità riferita al nocciolo della politica che consiste nell’indicazione di una nuova leadership carismatica e nella riaggregazione di un blocco sociale alternativo a quello che è oggi maggioritario. Né questo quadro è riscattato da primarie che sono fondate sullo scontro fra macchine organizzative e invece su un confronto politico-culturale assai sbiadito e confuso che non coinvolge gli iscritti, ma solo qualche giornale e qualche spezzone di talk-show. Di conseguenza a fronte delle indubbie contraddizioni che si manifestano nella maggioranza gialloverde non emerge a sinistra allo stato attuale né una leadership, né un progetto politico-culturale in grado di attrarre davvero quell’area di italiani che non si riconosce né nel grillismo né nel leghismo alla Salvini.

Fabrizio Cicchitto

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