Matteo Salvini (foto LaPresse)

Salvini e il M5s. Il sovranismo non si incoraggia: si combatte

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Riassumendo: il M5s è sfascista e populista. Salvini un imbroglione che illude sull’immigrazione e ha un’idea confusa dell’economia, il Pd un ectoplasma formato da capponi che vorrebbero trasformarsi in galli, FI che quando ha avuto i voti necessari non è stata capace di attuare il suo programma: “Indirizzare lo stato in senso liberale”. Il resto frammenti ininfluenti per dare un “governo”, all’Italia. Quello che piacerebbe a lei, anche se il modello suo ha una tale base d’equivoci e velleità da renderlo, rebus sic stantibus, un sogno di mezz’estate. Naturale pensare, impegnarsi, progettare sulla carta, naturale e giusto, ma l’esercizio di appunti, distinguo, l’uso di particolari caratteriali in senso negativo, non spostano la realtà dei numeri in Parlamento. Nessuno vuole un centrodestra vincente e al governo, neppure lei caro Cerasa. Non sarebbe, assolutamente la panacea, ma perlomeno un chiarimento comprensibile.

Moreno Lupi

Un centrodestra vincente sarebbe infinitamente meno traumatico per il paese di un governo sfascista. Ma chiunque abbia a cuore il futuro dell’Italia oggi ha il dovere di ricordare un concetto semplice: la priorità per le prossime elezioni non può essere educare i partiti che stanno giocando con la stabilità dell’Italia ma è quella di investire sulle alternative possibili. Il populismo sovranista non lo si incoraggia: si combatte, e basta.

 

Al direttore - Nei prossimi mesi ci sarà il Congresso del Pd, uno dei pilastri del sistema politico italiano, che purtroppo racchiude in sé tutti i problemi di una società smarrita come quella italiana e giustamente preoccupata per il proprio futuro. Un partito che continua a mettere sulle spalle di un elettorato spesso di passaggio il proprio destino attraverso le primarie, strumento valido nelle elezioni presidenziali e in società culturalmente bipartitiche ma che danneggia nel profondo la militanza e la dignità degli iscritti. E come se non bastasse conserva uno statuto che punta all’uomo solo al comando con un segretario che ha la maggioranza assoluta per definizione nell’assemblea nazionale e il potere altrettanto assoluto e solitario nel fare le liste elettorali. L’annunciato ritiro dalla corsa a segretario di Marco Minniti testimonia questa mutazione genetica in chiave presidenzialista del partito e della concezione personalistica della guida del partito. Alle prossime primarie correranno dirigenti quasi tutti provenienti dal vecchio Pci e dalle sue prime trasformazioni e questo parterre di candidati sembra la pietra tombale su di un partito nato con l’ambizione di mescolare la cultura socialista e quella della sinistra cattolica e ha finito per smarrirle entrambe e oggi, attonito, si domanda cosa è e dove vuole andare. Ciò che preoccupa e spaventa è che dopo dieci anni il Pd non ha ancora una identità definita e non ha ancora avvertito le grandi sfide che il Terzo millennio pone a tutti i paesi e in particolare all’occidente. Nelle società democratiche è cresciuta una crisi sottile che ha colpito il ceto medio e più in generale le classi meno abbienti alimentando una diseguaglianza sociale senza precedenti nel secondo Dopoguerra. Pochi intellettuali, politici ed economisti hanno intravisto il cuore di questa decadenza sociale che sta minando la coesione delle grandi democrazie occidentali con manifestazioni di piazza come l’ultima che ha devastato Parigi. La superficialità di molte classi dirigenti ha messo sul banco degli accusati la globalizzazione dimenticando che essa ha garantito nel mondo l’uscita dalla povertà di oltre un miliardo di persone nonostante tutti i problemi connessi a una governance non ancora messa a punto. La verità è però tutta un’altra. L’origine delle grandi diseguaglianze sociali sta tutta nella progressiva finanziarizzazione dell’economia internazionale. Il capitalismo sta subendo una mutazione con lo smodato uso finanziario del capitale rispetto al suo uso produttivo con la conseguenza di un rallentamento dell’economia reale e un affanno salariale. Il tutto con un’aggravante rappresentata dal fatto che mentre l’occidente produce una minoranza di milionari l’oriente del pianeta arricchisce gli stati attraverso il protagonismo dei fondi sovrani. Ben presto in questo quadro l’equilibrio economico e finanziario si sposterà a favore dell’oriente del pianeta in cui prevarrà un modello di una economia di mercato con un sistema politico autoritario. Il Pd avverte tutto questo? Avverte che bisogna disciplinare di nuovo i mercati garantendo che sia privilegiato attraverso politiche fiscali e normative l’uso produttivo del capitale rispetto al suo uso finanziario? Non abbiamo sentito nulla di tutto questo nei dibattiti all’interno del Pd e naturalmente meno che meno nei partiti populisti che in genere sostengono l’esatto contrario di ciò che diciamo e di cui l’occidente ha urgente bisogno. Democrazia, capitalismo produttivo e ambiente una triade senza la quale il congresso Pd sarà solo una conta banale tra gruppi e sottogruppi e il paese resterà privo di un’alternativa politica e culturale.

Paolo Cirino Pomicino

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