La febbre italiana, la riforma delle popolari e lo striscione sulla Fornero

Al direttore - E’ stato l’aereo.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - “C’è del buono in questo contratto” (Oscar Farinetti, la Repubblica). “C’è del buono in questo mondo” (Sam a Frodo Baggins, “Il Signore degli Anelli”).

Michele Magno

 


 

Al direttore - A leggere quanto i giornali scrivono delle proposte di Alberto Brambilla (lo storico esperto della Lega in materia di pensioni) e ad ascoltare quanto lo stesso va confermando nei talk-show, sono pronto a scommettere che ben presto – a superamento realizzato – vedremo sfilare grandi manifestazioni raccolte dietro lo striscione “aridatece la Fornero’’.

Giuliano Cazzola

Da sottoscrivere quanto ha scritto due giorni fa l’ex ministro Fornero sul Foglio: “Modificare il sistema senza tenere conto di questi cambiamenti strutturali (dinamica demografica, abbassamento tendenziale del tasso di crescita dell’economia, difficoltà occupazionale, ndr) è socialmente iniquo perché equivale a trasferire l’onere che ne deriva sui giovani, ossia sulla parte della popolazione che già più delle altre ha sofferto le conseguenze della crisi finanziaria ed economica. Né si può pensare di accollare il costo alle imprese perché ciò sarebbe in aperta contraddizione con il programma di abbassare le imposte per favorire l’attività economica e l’occupazione”. E’ chiaro?

 


 

Al direttore - A mio avviso, più che l’intento, espresso quasi di sfuggita dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di rivedere la legge di riforma delle popolari e del credito cooperativo, è da criticare l’aver introdotto un tale impegno senza neppure lontanamente precisare quali saranno almeno le linee della revisione. Guzzetti ha pienamente ragione quando afferma che non si debba cadere nel localismo. Ciampi sosteneva, ai tempi, pressoché la stessa cosa quando, parlando della vocazione al territorio di alcune categorie di banche, richiamava il concetto di un “localismo correttamente inteso”, non avulso cioè da raccordi nazionali necessari in nome della stabilità aziendale e di sistema. La normativa di riforma delle popolari è stata non adeguatamente concepita e redatta. Ora, però, inserire nelle spa in cui le popolari si sono trasformate limiti e vincoli vari significa dare vita a spa ibride: una cosa sarebbe stata farlo “ab origine”, altra farlo ora che sono sul mercato come spa tout court, tranne le due non ancora trasformate (la Popolare di Sondrio e la consorella di Bari). Sarebbe necessario, semmai, un progetto che salvasse qualche aspetto dell’originario “acquis” cooperativo e solidaristico. Ugualmente censurabile è il fatto di lanciare il sasso sulla riforma delle Bcc, alle quali esse stesse hanno partecipato, ma non chiarire, neppure alla lontana, come si svilupperebbe la presunta riforma della riforma. Solo parole o sostanza? E’ un preannuncio che così si procederà anche in altri campi? Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

 


 

Al direttore - Un parallelo storico-culturale, senza pretese, forse aiuta a capire qualcosa in più sulla febbre italiana. Attualmente viviamo nel clima e nel tempo storico dei mille campanili e delle mille chiese. Non è che ci siamo ritornati, non ci siamo mai culturalmente usciti. Poiché né le signorie, né i principati, né il Risorgimento, né l’Italia unita hanno saputo, o potuto, accantonare o armonizzare, nell’ambito di un sentito, condiviso, senso del bene comune e dello stato, la logica divisiva, conflittuale dei mille campanili e delle mille chiese. O cerchiamo di far nostri i fondamentali dell’interesse comune, con quel faticoso, aspro salto di qualità culturale necessario, o non riusciremo mai a sottrarci a quella logica. Il governo gialloverde rappresenta l’evoluzione tecnologica del punto di partenza.

Moreno Lupi

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