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Lettere rubate

Dieci anni di lettere tra Scott e Zelda, ovvero l'anatomia di una caduta

Annalena Benini

E la consapevolezza da parte di entrambi che non basta amarsi per capirsi. Tra accuse, suppliche e riappacificazioni

Ti scrivo perché non ci sei. Ti scrivo perché voglio capire. Ti scrivo perché devi sapere. Ti scrivo perché ce l’ho con te. Ti scrivo per farmi sentire. Ti scrivo per dirti di noi. Ti scrivo per dirti di me.
Zelda Sayre e Scott Fitzgerald da
La parte inventata della vita-lettere scelte” (Feltrinelli, 310 pp.)


Le lettere fra Zelda Sayre e Scott Fitzgerald sono piene di fascino e sono diventate presto un genere letterario. La brillantezza di Zelda, la precisione di Scott, e soprattutto l’amore, la passione, Parigi e le feste. Sappiamo tutti dei ricoveri di Zelda e della sua fine terribile, sappiamo anche della disperazione e degli eccessi di Scott, al quale si porta il rispetto e l’ammirazione verso chi ha scritto Il grande Gatsby, Tenera è la notte, e mi fermo ma si dovrebbe continuare. Quella che ci offre questo libro però è la storia di un matrimonio. La storia degli ultimi dieci anni di vita coniugale a distanza. Lei nelle cliniche, lui nella sua vita di scrittore, di alcolista, di padre, di uomo soffocato dal bisogno di soldi. Lui con la sua visione dei fatti e dei sentimenti, lei con la sua. Sono lettere anche molto dure, sono lettere che finiranno con la morte di Fitzgerald. “Perché, Zelda, se tu fossi capace di organizzare qualcosa lo faresti dove sei. Che cosa darei per aver diritto a un po’ di tempo libero – hai mai sentito dire che ne abbia avuto? Star bene, essere tenuto bene, avere qualcuno che mi compra carta + penna, non pensare alle tasse, all’assicurazione, alla salute degli altri e a tirar su una figlia”.

Questa l’idea di Scott. Ma Zelda non si lascia quasi mai mettere all’angolo, ribatte colpo su colpo, con spaventosa lucidità anche poco dopo un crollo nervoso.  Gli scrive nel giugno del 1930 dalla Svizzera (aveva 30 anni): “Caro Scott, non è difficile rispondere sollecitamente alla tua lettera dato che da qualche tempo non ho fatto altro che rimuginare sulla causa e gli effetti. Il tuo modo di presentare la situazione è pure poetico, anche se non ha niente a che fare con la realtà: tu che lavori per preservare la famiglia e io che lavoro per abbandonarla”. Ci sono accuse pesanti, amore che non finisce, ci sono suppliche e riappacificazioni via lettera. C’è, soprattutto, la consapevolezza da parte di entrambi che non basti amarsi per capirsi.

Lei lo prega di ordinare ai medici di farla smettere con quella cura, lui scrive a tutti che i medici gli impediscono di riportare a casa Zelda, perché non basterebbero due infermiere per accudirla, per calmarla. E’ una storia triste e appassionante, dentro la quale si colloca il romanzo di Zelda, Lasciami l’ultimo valzer. E le risposte degli editori, degli amici, di tutti quelli che hanno ballato il valzer attorno a Zelda e Scott e ne hanno visto i fasti e i baratri. Ma vale davvero la pena di leggere tutto il libro, tutte le lettere, montate a cura di Sara Antonelli in un modo da formare esse stesse un romanzo e in fondo l’anatomia di una caduta.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.