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Chi era quella bambina davvero? E quella ragazza nera? Biografia di Jamaica

Annalena Benini

Nella scrittura di Jamaica Kincaid, nata ad Antigua, c’è sempre un grande senso del pericolo e dell’iniziazione. “Volevo essere una scrittrice; ero una persona con delle opinioni e volevo che contassero anche per gli altri"

C’erano molti altri modi per riempire quelle lunghe serate. L’elenco delle persone che mi baciava e faceva altre cose con me divenne così lungo che adesso non riesco a ricordare i nomi.
Jamaica Kincaid, “Biografia di un vestito” (Adelphi)

Questo libro contiene due racconti, Biografia di un vestito e Quando ho rimesso insieme i pezzi. In entrambi ci sono i vestiti, c’è un cappello, c’è l’abito di popeline giallo che una madre stanca confeziona per la figlia che compie due anni. C’è anche la fotografia, in bianco e nero, di quella bambina, Jamaica Kincaid, con addosso quel vestitino (ricamato in punto smock) in uno studio fotografico ad Antigua. In quel ricamo, in quelle maniche a sbuffo, ci sono i desideri di una madre che ogni sera dopo le faccende si siede sulla soglia e cuce. Il desiderio di essere qualcun altro? E molti anni dopo, a New York, la bambina con le maniche a sbuffo partecipa alla stessa opera di autoinvenzione di se stessa attraverso i vestiti usati che compra per sé, appartenuti ad altre donne di altre epoche, con i quali va in giro per le strade di New York e si sente meno in pericolo. Nella scrittura di Jamaica Kincaid, nata ad Antigua, c’è sempre questo grande senso del pericolo e dell’iniziazione. La bambina vestita di giallo e fotografata nella grande occasione del compleanno intuisce ma non può chiedere, non sa fare domande. La madre non si lamenta mai, la madre la porta in braccio ovunque, la madre cuce e ride ed è allo stesso tempo estenuata. La ragazza povera a New York incontra uomini squallidi, mangia poco, dorme sul pavimento e si fa clisteri di caffè, ha paura e si traveste da donne lontanissime da lei: sua madre ingannava il mondo per lei, e quindi per se stessa, lei inganna il mondo per diventare una scrittrice. Lo dice in giro, si mette un cappello: “Volevo essere una scrittrice; ero una persona con delle opinioni e volevo che contassero anche per gli altri. Posso ammetterlo riguardo alla me stessa di allora; non posso ammetterlo riguardo alla me stessa di adesso”. 

Quante me stesse, quanti noi stessi nell’arco di una vita, o anche solo di una giovinezza pericolosa a New York con un vassoio pieno di pasticche. “E io pensai: Ma come potevo sapere di essere una ragazza nera? Non mi passo mai accanto in corridoio dicendo: Sono una ragazza nera. Non mi vedo mai svoltare l’angolo e venirmi incontro dicendo: Ecco una ragazza nera che mi viene incontro. Come facevo a sapere una cosa del genere?”. Come faceva a saperlo la bambina di due anni vestita di giallo? Forse solo sua madre lo sapeva. Il secondo racconto termina con una scena gigantesca, offerta con nonchalance al lettore, una scena che uccide il vestitino di popeline giallo e lo trasforma in un rito di mascheramento e di addio. Addio a chi non sarai più. Addio alla paura. 

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.