Paradossi: i populisti godono grazie alle buone riforme antipopuliste

Al direttore - Il governo del presidente. Berlusconi.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Il paradosso della fase politica attuale è che gli antipopulisti sono vittime dei loro stessi successi. La calma dei mercati a dispetto delle fibrillazioni politiche infatti ha solide ragioni economiche: avanzo primario costante, debito pubblico non in crescita, pil e occupazione in ascesa. E tutto questo è il frutto di cinque anni tutto sommato di buon governo a guida Pd. Sono questi risultati che consentono ai populisti “vincitori” di sproloquiare senza pagare dazio. L’Italia si è sempre messa in riga quando si è trovata davanti al baratro. Dobbiamo augurarci un po’ di caos finanziario perché torni un briciolo di resipiscenza?

Marco Cecchini

E i populisti possono fare quasi tutto quello che vogliono grazie alle riforme, fatte nel passato, che se fosse stato per loro mai ci sarebbero state. Speriamo bene.

 


 

Al direttore - “Benché in pochi siano in grado di dare vita a una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla!”. Con queste parole Pericle, nel suo famoso discorso sulla democrazia del 431 a.C., sintetizzava l’essenza di un governo democratico. Ed è così che fino a oggi ha funzionato la democrazia. Con la primazia delle élite e con il rifiuto di un diretto agire della massa. E quindi, per dirla con le parole di Pericle, con “pochi” che avanzano le proposte politiche e con il popolo che le giudica sancendo la vittoria dell’una o dell’altra. La primazia delle élite non è solo del pensiero di Socrate, ma anche del pensiero comunista, in particolare di Lenin. Il Partito comunista era l’avanguardia “esterna” del proletariato ed era formata, secondo Lenin, dagli intellettuali che avevano tradito la loro classe di origine. Nel pensiero comunista è però assente ogni principio di democrazia. Il popolo non conta nulla. Dopo la conquista del potere con la violenza, la successiva gestione era la dittatura del proletariato, e cioè la dittatura della sua avanguardia esterna, il partito. La democrazia era rinviata a una lontana fase finale della rivoluzione, quella comunista: quando le masse sarebbero state capaci di autogovernarsi e quindi anche una casalinga, per dirla con le parole con cui Lenin spiegava il comunismo, avrebbe potuto fare il ministro degli Esteri. La democrazia come concepita da Pericle non è più il sistema di governo dell’Italia. Essa è stata sostituita da un’oclocrazia necessariamente inconcludente. I principali partiti, infatti, non esprimono più il progetto di un’élite, ma solo le confuse e contraddittorie aspirazioni delle masse: meno tasse e più pensioni; stipendi a chi lavora e a chi non lavora; niente Tav, niente Tap, niente Triv e così via. E il governo che si prospetta sarà composto dalle casalinghe di Lenin. Un governo molto simile a quello di Tommaso Aniello detto Masaniello, che nel suo programma aveva la costruzione di un ponte tra Napoli e la Spagna. L’auspicio è che tale governo duri solo pochi giorni come quello del pescatore napoletano.

Edmondo Maria Capecelatro

 


 

Al direttore - Il ritornante riferimento alla Banca d’Italia, nei casi di crisi politiche, per attingere in essa a potenziali esponenti governativi smentisce le opinioni qualche volta espresse sul ruolo dell’Istituto che resta, comunque, l’Ena italiana. Accade anche nell’attuale vicenda politico-istituzionale. E’ anche vero che l’unico in grado di potere esercitare validamente la carica di premier sarebbe il governatore, Ignazio Visco. Per chi ricopre la carica di governatore sarebbe anche possibile, in base alla cosiddetta legge Einaudi ritornare al vertice della Banca una volta cessato l’incarico, senza  essere nel frattempo sostituito. Ma ciò potrebbe ben valere in una situazione assolutamente straordinaria. Altra cosa è, invece, attingere ad altri dirigenti per incarichi non di premier, ma ministeriali, nella convinzione, però, che non siamo ai livelli di Ciampi e di Dini che lasciarono la Banca per ricoprire cariche ministeriali e anche per assumere la presidenza del Consiglio.

Angelo De Mattia

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