Giulia Sarti e il codice di Striscia

Al direttore - Che Giulia Sarti sia risultata irregolare nel versamento del pizzo al M5s non ce ne può fregar di meno. Siamo anche disposti a credere che sia stato l’ex fidanzato – come lei racconta – a intascare la somma. Anche se ci sembra strano che una persona, che va in giro esibendo false generalità, sia in grado di emettere bonifici su di un conto corrente intestato a un’altra. Ma proprio qui sta il punto. Una parlamentare che assume come portaborse il proprio fidanzato meriterebbe almeno un cartellino giallo.

Giuliano Cazzola

  


   

Al direttore - Carissimo Cerasa, volevo sommessamente fornire il mio contributo all’albero filogenetico delle brutte razze. L’ultimo comma del codice di Striscia, il 52, recita “Il dubbio è il padre di Striscia”. Il dubbio spinge l’uomo a cercare la verità. Chi invece ha la verità in tasca, chi non ha mai dubbi, chi non usa punti di domanda, ma solo esclamativi a forma di manganello, sono proprio io: il Gabibbo. Io non parlo: rutto. Non voglio e non posso ascoltare: non ho orecchie. Sono l’unico che a Striscia può dire agli altri: “E’ una vergogna!” (punto 25 del codice). Nell’iconografia di Striscia sono un profeta, un vaso vuoto pronto a essere riempito, parlo con voce non mia come gli invasati. Sono il mostro che meglio rappresenta la televisione. Per un lungo periodo sono stato affiancato da Stefano Salvi, il vice Gabibbo, creatura che è diventata modello e stampino di tutti gli ienidi. E questo mi sembra importante nella ricostruzione della filiera. Nel ’92 ho preso 15 voti in Parlamento nelle elezioni per il presidente della Repubblica, ma poi hanno preferito Scalfaro. Ho anche fondato il 27 settembre 1997, non a caso a Livorno, il P.d.G., il Partito del Gabibbo, per le elezioni suppletive del Collegio senatoriale del Mugello. Dopo alcuni comizi tenuti in Toscana, ritirai la candidatura quando, in seguito al terremoto in Umbria e nelle Marche, fui chiamato dalle popolazioni colpite per aiutarle. Lo slogan elettorale era: “Più populista di Antonio Di Pietro, più pelato di Sandro Curzi e più rosso di Giuliano Ferrara. Se dovete votare un Gabibbo, votate l’originale!”. E qui arriva il bello, il colpo di scena degno di una soap sudamericana. Io nasco nel 1990. In tivù era il momento degli esternatori. In giro c’erano Giuliano Ferrara, Vittorio Sgarbi, Funari, Santoro e Cossiga. Questi “nuovi mostri” avevano trovato, urlando, la scorciatoia per entrare nelle case dei telespettatori. Chi poteva rappresentarli meglio, questi populisti catodici, di un pupazzone rosso che, con gli occhi fuori dalla testa bercia: “Ti spacco la faccia!”. Formalmente sono stato costruito sul corpo di Giuliano Ferrara con la testa del pesce besugo. In realtà la testa doveva essere di uno scazzone di mare, ma si è preferita la testa di un pesce più criptico. Quindi, caro direttore e cari amici del Foglio, posso vantarmi di discendere dal vostro fondatore. Spero che anche per voi possa essere una bellissima soddisfazione.

Se vedemmu.

Il Gabibbo

 

Come diceva il greco Aristotele, probabilmente parlando dei simpatici e insensati besughi come lei, deficere est iuris gentium. Ad maiora.

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