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La situa - dibattiti universitari

A proposito di Europa e Stati Uniti

Oltre le armi: cosa manca all'Europa per diventare grande, in un mondo in cui gli Stati Uniti non ci proteggono più?

Oltre le armi: cosa manca all'Europa per diventare grande, in un mondo in cui gli Stati Uniti non ci proteggono più? Lo abbiamo chiesto agli studenti universitari e qui trovate i migliori interventi. Scrivete anche voi, in duemila battute, a situa@ilfoglio.it. I migliori testi degli studenti universitari saranno pubblicati (qui trovate tutti gli articoli degli studenti pubblicati in questi mesi). Se non sei ancora iscritto a La Situa puoi farlo qui, ci vuole un minuto, è gratis.

    


 

Sovranità militare limitata, forti diseguaglianze territoriali, burocrazie soffocanti e chi più ne ha più ne metta. Questi sono solo alcuni dei noiosi nodi che il pettine del Vecchio continente si trova a dover imbrigliare. Il denominatore comune che campeggia come uno spettro all’origine della mancanza di un’Unione Europea in grado di ambire quantomeno alla rilevanza internazionale, e poi, con molti accorgimenti, alla grandezza, è essenzialmente uno: la mancanza di un’identità Europea.
Lo spirito di un popolo è ciò che accompagna la sua ascesa alla Grandezza. L’Europa, storicamente, è stata teatro di lotte intestine, dinamiche infra-nazionali non esattamente rose e fiori, e grande diversità culturale. Tutto ciò è oggi un ricordo del passato, ma permangono inevitabilmente retaggi sovranisti in ogni singola nazione.
La creazione di un’identità nazionale a tavolino è un’operazione che nella storia non ha mai portato i suoi frutti, ma c’è un però. Non è mai successo nella storia che un’intera generazione (identificabile con la Z, ma queste incasellature lasciano il tempo che trovano…) nascesse e crescesse fuori dalla Storia. Di conseguenza con un identità malleabile, corrompibile. La vera e unica speranza per un’autentica unità europea siamo noi, ragazzi e ragazze senza vizi e pregiudizi, liberi dal giogo dei miti novecenteschi della Nazione e della sovranità a tutti i costi. Oltretutto, si tratta anche di opportunismo. L’Europa si comporrà solo ed esclusivamente per opportunismo e necessità politica. Quando sarà inevitabile unirsi, per far fronte a minacce esterne e per elevarsi all’altezza dei giganti che aleggiano intorno a noi, allora la nostra generazione, campionessa di opportunismo e di compromessi, risponderà positivamente. Forse per pigrizia, ma sarà la scelta giusta, quella che ci garantirà di sopravvivere politicamente in un mondo che procede a velocità incalzante verso un futuro quanto mai incerto, o perlomeno instabile.

Giovanni De Carli
Storia all’università di Padova
 
 
Si potrebbe scrivere per ore elencando tutte le iniziative di natura tecnica che ricollocherebbero l’Europa verso una posizione più autorevole e credibile. 
Dal riarmo fino al voto a maggioranza, passando per l’ampliamento del bilancio UE e l’istituzione di un ministro del Tesoro comune. 
Tutte decisioni che probabilmente avrebbero un impatto concreto in questa sorta di “riposizionamento” (così un’azienda definisce il processo di cambiamento che mira a ridefinire la percezione che i consumatori hanno di essa). 
La sensazione, però, è che tutto ciò potrebbe non bastare. 
Sarebbe come cercare un nuovo sapore usando sempre la stessa ricetta e variando solo le dosi, quando ciò che manca sono ingredienti nuovi. Ingredienti che non devono essere comprati, perché già presenti in casa. 
Per primo, il buonsenso. Quello che ci ha uniti tutti (o quasi) nello sposare la causa ucraina e nel riconoscere in Putin un nemico dell’UE. Lo stesso buonsenso che sta mancando quando si decide di persistere nel Green Deal nonostante gli avvertimenti di Mario Draghi. O quando a Bruxelles, nostro quartier generale, viene installato un presepe in cui i volti sono privi di tratti riconoscibili per dare un messaggio di inclusività, contribuendo ad alimentare il rinnegamento di alcuni di quei valori che ci hanno resi grandi, e ai quali oggi dovremmo, ma non riusciamo, ad aggrapparci. 
L’altro ingrediente che darebbe all’Europa un sapore più forte è una visione. 
Di destra, di sinistra, non ha importanza. Ma che sia chiara, condivisa e condivisibile, e che si proponga di esaltare e non cancellare le differenze e i punti di forza di ogni Stato dei Paesi membri. Magari affidando la leadership a qualcuno privo di interessi politici immediati e rispettato a livello internazionale. 
Ancor prima di intervenire su leggi, manovre economiche o scelte militari, occorre ripartire da quei valori e da quelle soft skills che ci hanno permesso di presentarci al mondo come esportatori di democrazia, libertà e diritti.

Federico Rossini
Università di Bologna 
  
  
Oltre le armi: cosa manca all'Europa per diventare grande, in un mondo in cui gli Stati Uniti non ci proteggono più? Diverse sono le dinamiche emerse negli ultimi decenni che impediscono all’Europa di diventare concretamente indipendente nella scena internazionale. Una questione è sicuramente legata alle difficoltà nello sviluppare una politica estera realmente comune. Gli interessi comunitari non risultano combaciare con quelli di uno o più Stati e ciò influisce notevolmente sulla concretezza e sull’efficacia delle azioni europee. L’esempio più eclatante dell’ultimo periodo è la posizione espressa da Ungheria e Slovacchia, che non di rado supportano iniziative che favoriscono una reintegrazione completa nelle relazioni internazionali della Federazione Russa. Si scontrano così una fazione favorevole ad una pace a tutti i costi e un’altra a supporto di un accordo giusto e duraturo, con il gruppo dei volenterosi che parrebbe deciso ad assumersi la leadership anche di un Patto Atlantico da sempre poco gradito al Presidente Trump. Ma la diatriba non è da interpretare unicamente in chiave bellica; vi sono numerosi esponenti politici e non che vorrebbero favorire, al termine delle ostilità, un ritorno di energia a basso costo dal Cremlino, proprio come avanzato a più riprese da Fico. Tale politica potrebbe rendere vane numerose decisioni in materia adottate dall’UE. Il dibattito sull’energia nucleare, che si è ad esempio nuovamente riaperto in Italia, potrebbe affievolirsi e risultare poco fruttuoso. Ciò minerebbe sforzi di istituzioni ed organismi che hanno promosso politiche di sostenibilità ed indipendenza energetica.
La massima US innovates, China replicates, and the EU regulates è emblematica dell’Europa contemporanea. L’UE fatica ad individuare un percorso da intraprendere e il più delle volte incrementa un sistema burocratico atto a porre limiti considerevoli. Lo si può notare con il famoso Chat Control che viene aspramente criticato anche da gruppi politici contrapposti. È probabilmente l’emblema di una politica che si professa vicina ai cittadini ma che forse non accoglie fino in fondo le reali necessità di questi. Oppure ancora, la corsa all’intelligenza artificiale che nel Vecchio Continente pare essersi arrestata senza essere neppure passata dal via. Dubbi legittimi su privacy e sicurezza appaiono più oppressivi che mitigatori. La ricerca e lo sviluppo hanno ceduto il passo ad una drastica regolamentazione. Gli Stati Uniti restano così i primi portatori delle istanze di aziende tech ed high-tech. La Cina, con una logica da latecomer o sempre più spesso da rinnovatrice - basti pensare al mercato delle auto elettriche - imita e migliora conoscenze e competenze, risultando competitiva e in grado a sua volta di raccogliere investimenti e flussi di capitali e cervelli. L’Europa assiste invece ad un clima di progressiva sfiducia in tal senso e innumerevoli start-up decidono di cessare la loro attività ancora prima di iniziare davvero ad operare.

Gabriele Mammarella 
Economia aziendale e management, Università Commerciale Luigi Bocconi