Thomas Hobbes: la teoria del contratto sociale nel “Leviatano”

Ha ragione chi ha i voti?

L’assolutezza non è propria degli ordinamenti moderni, nei quali valori diversi si bilanciano

Professor Sabino Cassese, nel suo libro sulla democrazia, lei ha paragonato lo stato a una di quelle chiese cattoliche edificate sui resti e con le colonne di un tempio pagano di epoca romana, con portali gotici, un soffitto ligneo rinascimentale, addizioni barocche. Perché?

Per sottolineare che lo stato è un prodotto della storia, non il risultato di una invenzione. Si è andato costruendo progressivamente by trial and error, fatto di diversi strati. Le consiglio di leggere la traduzione recentissima di un bel libro di quel grande storico americano che è Charles S. Maier, Leviatano 2.0. La costruzione dello stato moderno (Einaudi, 2018). Vi troverà l’analisi, in termini di storia globale, di due secoli di storia dello stato.

  

Questo è chiaro. Ma lei voleva far intendere qualcosa di più

Bravo! Proprio così! Volevo far capire che i materiali della costruzione sono diversi, risalgono a tempi lontani, convivono, ma sono in continua tensione tra di loro, come può accorgersi chiunque abbia una abitazione antica, costruita usando legno, ferro, pietra, calce. Ma usciamo dalle metafore e diciamo di quali elementi è composto lo stato: ne fanno parte una componente autoritaria, una liberale, una democratica, una sociale o socialistica.

 

Ora provi a spiegare dove sono tali componenti e come interagiscono

Cominciamo da quella autoritaria, che risale alle origini dello stato, cioè al Rinascimento o a epoche immediatamente successive, a seconda dei paesi (le ricordo un bel saggio di quel grande storico italiano che è stato Federico Chabod: Y a-t-il un État de la Renaissance?, in “Actes du Colloque international sur la Renaissance”, 1958, pp. 57-73, ora in Scritti sul Rinascimento, editi da Einaudi). Oggi, lo stato ordina, impone il pagamento di imposte, fa guerre, sanziona. Ecco l’elemento autoritario, al quale si oppone quello liberale.

 

Che consiste…?

Nell’affermazione del contrario dell’autorità, della libertà dell’uomo (del cittadino, in origine). Una sfera che dalla fine del ’700 viene “transennata” e nella quale lo stato non può interferire o può farlo solo a certe condizioni dettate dalle norme. Di questo patrimonio fanno parte anche i “rimedi”, cioè le procedure stabilite perché si possa rimediare a invasioni non consentite. Questo vuol dire diritto a un giudice e indipendenza del giudice. Più tardi, con l’800 verrà la componente democratica

 

Quando e come?

Quando si afferma e si estende il suffragio: più di un secolo per arrivare al suffragio universale maschile e femminile. Quindi, partecipazione politica attiva di tutti i maggiorenni cittadini (come vede, rimangono aperti ancora oggi alcuni problemi: perché i fanciulli non sono ammessi al voto? Perché non lo sono i residenti stabili, non cittadini?). Questo vuol dire investitura (legittimazione) popolare dei governanti e loro obbligo di rendere conto (“accountability”). Quindi, vuol dire ripetute elezioni (non come in periodo fascista).

 

L’ultima componente?

Quella che viene aggiunta con l’affermazione in tutto il mondo dei movimenti socialisti. Questi mirano alla socializzazione del potere. L’idea è che il potere pubblico debba essere esercitato con qualche forma di partecipazione popolare. Le forme concrete vanno dai “soviet” al diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, all’inchiesta e al dibattito pubblico. Qualcosa che andrebbe spiegato meglio ai ministri interessati alla democrazia diretta, che identificano in quest’ultima tutte le varie forme di socializzazione del potere.

  

Fatto l’elenco delle diverse componenti, torniamo a quel che prima diceva, la tensione tra le diverse parti.

La più nota è la dialettica autorità-libertà, quella di cui sono arbitri ogni giorno i giudici amministrativi, ad esempio. Fissare ogni volta l’equilibrio tra i due poli è difficilissimo, per cui una parte della decisione è rimessa ai giudici, che possono farlo volta per volta, in forme contenziose, cioè dopo un contraddittorio, e quindi con la partecipazione degli interessati.

  

E la dialettica libertà-democrazia?

Pensi ai giudici costituzionali che sono chiamati ogni giorno a stabilire se una legge, democraticamente approvata, rispetta la Costituzione, e cioè i diritti dei cittadini e le loro libertà. Questo è un esempio classico di una tensione che ha fatto dire a tanti governanti: possono i giudici essere posti al di sopra della legge, mentre dovrebbero essere quelli che fanno rispettare la legge, ed essere essi stessi vincolati dalle leggi?

  

L’ultima tensione è quella tra democrazia e società

Sì, anche questa è una dialettica presente nei nostri sistemi politici: la legge di un Parlamento lontano deve vincolare l’azione di una comunità, o non deve essere questa ultima che decide su ciò che la riguarda?

 

Perché queste tensioni sono importanti?

Perché di esse consiste lo stato, ovvero, secondo la sineddoche usuale (cioè prendendo la parte per il tutto), di esse consiste la democrazia. Ma solitamente si commette l’errore di far valere le diverse esigenze – i diversi valori – con criteri di assolutezza: l’ha voluto l’autorità! La libertà non deve essere compressa! Si è pronunciato il popolo! La società innanzitutto! Se vale solo l’autorità, saremo in una dittatura o in uno stato totalitario. Se si fa prevalere la sola libertà, torniamo allo stato di natura. Se ci rimettiamo al popolo, accettiamo ogni possibile compressione di diritti (non dimentichiamo che Mussolini e Hitler salirono al potere in forme rispettose della democrazia, che Orbán è stato eletto, che lo è stato Erdogan). L’idea di una piena socializzazione del potere pubblico, poi, è realizzabile in sistemi politici nei quali vi sono tra 3 e 5 milioni di addetti alla macchina amministrativa? E vi sono, poi, ulteriori tensioni…

  

Ad esempio?

Quella tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Prenda la famosa Brexit: i britannici, dopo il referendum, hanno dovuto decidere l’uscita dall’Unione con legge. E sempre con legge dovranno decidere le modalità dell’uscita. Voglio dire che l’assolutezza non è propria degli ordinamenti moderni, nei quali valori diversi si bilanciano. Per esempio, non basta dire: si è pronunciato il popolo! Anche il popolo si può sbagliare. E’ con decisioni popolari, democratiche, che gli americani hanno conservato per un secolo lo schiavismo, e poi la segregazione razziale per un altro secolo.

 

Lei ha fatto riferimento alla sineddoche. Provi a spiegare.

Molto semplice: diciamo frequentemente “la democrazia americana”, “la democrazia britannica” non per riferirci in senso stretto alla democrazia, ma per alludere allo stato americano o a quello britannico. Prendiamo la parte per il tutto. Questo ci induce a giudicare un paese sulla sola base delle sue istituzioni democratiche, dimenticando che sono rilevanti anche i valori di libertà che vi sono presenti, quelli di autorità ed efficienza, e così via. Insomma, finiamo per finire nell’area di Orbán, delle democrazie illiberali.

 

Le faccio un esempio. Ho scritto un articolo nel quale esprimevo giudizi critici sui ministri dell’Interno e dello Sviluppo economico, positivi su quello dell’Economia e delle Finanze e degli Esteri. Ho letto questo commento online: “Sabino Cassese oggi sul Corriere buoni Tria e Moavero, cattivo Salvini. Vecchio giochetto. Peccato che i voti e la politica, due elementi che evidentemente per Cassese non sono fondamentali, li porti Salvini. Il deep state trovi altre argomentazioni”. Non le sembra un interessante allineamento al solo metro della democrazia? Basta essere un unto del popolo perché la propria azione sia accettabile. Ha ragione chi ha i voti. I voti sono fondamentali, ma lo sono anche il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, nonché la tutela della proprietà (il risparmio degli italiani). Vanno ricordati gli uni e gli altri. Il problema è come bilanciarli.

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