Salvador Dalì, (foto WikiImages)

Cosa vuole dirci la Psicoanalisi?

Umberto Silva

Indagine semiseria su quel che l’analisi ha detto e continua a dire tra un cioccolatino e l’altro

“E’un po strana”, mi dice la segretaria Gianna, ma non fa in tempo a presentarla che la giovane donna gia è entrata nervosissima nella mia stanza, nemmeno mi da la mano, si getta sulla chaise longue. Sospira, osserva, si alza, scruta di nuovo, di nuovo si stende, per qualche minuto tace poi dice: “Voglio morire”.

    

“Perché?”, le chiedo esibendomi in una delle più dementi frasi del genere umano, quelle che mi fanno andare in assoluto visibilio. “Perché vuole morire?”. Insisto, giusto per farle passare ogni voglia, anche la più leggendaria. Profondamente turbata la ragazza si volta e mi guarda esterrefatta: “Ma che diavolo dice? E’ uno psicanalista o un pazzo?”, come se non fossero la stessa cosa. “Io sono un cretino – le dico fumando una Turmac bleu di molti anni fa, una meraviglia, – vorrei sapere perché lei vuole uccidersi”. “Semplice Professore, o chiunque lei sia, perché non credo che lei sia davvero quello che è, ci sono un sacco di persone che fingono di non essere quel che non sono e di essere quel che neppure non sono. Ci sono miriadi di imbecilli come lei, uno era mio padre e uno il mio amante”. Questa ragazza è molto interessante, mi dico.

      

La ragazza tace per cinque minuti in cui si accarezza le gambe, i capelli, il viso, la pancia. Poi dice: “Prof., lei è un mascalzone. Dirò di più: un vero e al tempo stesso un falso mascalzone, il mascalzone più mascalzone quindi, un essere abietto”. Perfetta. Questo è l’incipit dell’analisi, solo percependo l’altrui l’eros la ragazza annusa il proprio, lo sente così fortemente che potrebbe impazzire, o morire, per l’appunto. A dire il vero io penso ai cioccolatini che si sballottano incerti e gai e morituri nella mia mano, ma la ragazza insiste, feroce. E’ proprio una cara ragazza, ma non le darò nemmeno un cioccolatino, penso, glieli farò vedere sul tavolo mentre li mangio tutti e sei. E guai se li tocca.

     

“Lei sta pensando al mio fidanzato, vero? Io invece parlo di mia mamma, la mia cara mamma”. “Veramente, signorina, del suo fidanzato e di sua mamma non m’ interessa più di tanto, a me interessa la futura moglie del principe Harry, una donna che ha qualcosa che mi fa capire come la psicoanalisi è oltre se stessa. Lei, cara signorina, lo sa, come tutti al mondo. La psicoanalisi non è la Simpson o il suo reuccio Edoardo, la psicoanalisi è la serva di Meghan Markle”. “Ma sentilo…”, sussurra la ragazza, e questo “ma sentilo” mi sembra di altissima qualità.

     

Le chiedo di attendermi ed esco a mangiare due cioccolatini con la mia assistente Gianna, una signora di gran classe che non fa assolutamente niente, nemmeno accompagna gli ospiti. Rientro, la ragazza si è alzata a guardare i miei libri. Pazientemente l’attendo in piedi finché si siede accavallando le gambe sulla mia poltrona. “Comincio l’analisi con lei, Professore”. “E perché signorina?”. “Sento che lei mi guarirà”. “Grazie al cielo non ho mai guarito nessuno. Semmai sarà lei che mi guarirà”. “D’accordo, Professore, io guarirò e lei guarirà. Guariremo insieme, a crepare sarà il lupo”. Scoppiamo a ridere. Cerco vertiginosamente di ricordarmi quella fanciulla dell’anno 1966 a Parigi in primavera all’hotel des Marronniers. Non ne ricordo il nome, o forse sono due, forse lei, quell’altra, maledizione, sempre un’altra la vita.

         

Devo ammettere che quella creatura ha una sua forza. “Gianna, porta i cioccolatini”. La donna entra con i cioccolatini, due ciascuno per noi tre. “Non si spaventi signora se mi sente urlare”, le dice la ragazza che mi salverà. “Io mi spavento solo per niente”, cortese sorride la Gianna, “per il resto venga pure Satana”. “Dicono che Satana ci sia ancora e Dio no”, sorride la ragazza slingueggiando il secondo cioccolatino e ammiccando a Gianna che le è simpatica. “Ecco, dire una sciocchezzuola così è un peccato grave, non per altro, ma perché i peccati gravi li deve lasciare al Professore, in prima istanza”. “Giusto Gianna, devo stare attenta”. “Non troppo. Giusto Professore?”. “Boh”. “Parliamo di cose serie: il Cavaliere caccerà i neri?”. “Mah, no, è buono lui”. “Molto interessante”. “Vero?”. “Ci ammazzeranno tutte”. “Ma va”. “Sento un pidocchio in testa”. “Ahah” .“Mi sento nerissima”. “Io Nerona”. “Esca pure Gianna, l’analisi ha inizio”. Scoppiano a ridere, ma sì, ma sì, va benissimo, ma perché non mi viene in mente quel giorno in rue Jacob all’Hotel des Marronniers? Cosa vuole dirmi la Psicoanalisi? In tutti questi anni cosa mi ha detto, cosa non mi ha detto? Cosa mi sta dicendo, da sempre, questo cioccolatino che da sempre…

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