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Eugenio Scalfari e Dio

Umberto Silva

Mi commuovo leggendo il “non credente” Scalfari sul Papa, e pure pensando al bagno chimico

Devo confessare. Confessarmi e confessare sono tra le mie attività preferite fin dal tempo in cui studiavo dai gesuiti, al punto che due tre volte al giorno finivo nel confessionale, fuori e dentro, a confessare gli amici, a chiedere la penitenza ai preti, e finiva che, dicendo una bugia dietro l’altra, invece di mondarmi dai peccati me ne riempivo. Devo confessare, qui, subito, e questa volta per davvero, che gli elogi fatti sulla Repubblica da Eugenio Scalfari a Papa Francesco mi commuovono. Al punto che ogni domenica li vado a cercare, l’elogiante e l’elogiato, nella speranza di trovarli sul giornale come alla messa domenicale, dove un tempo si andava ad ascoltare le parole del parroco per trovare serenità. E non sono solo le citazioni, gli apprezzamenti e le meditazioni che Scalfari tesse attorno alle parole del Papa a commuovermi, quanto il fatto che a un certo punto il “non credente” Eugenio fa appello a Francesco con un maiuscolo “Sua Santità”, parola che ormai pochi scrittori e pensatori pronunciano. In tal modo percepisco in Scalfari una reale potente devozione, la devozione di un “non credente”, spesso la migliore delle devozioni e delle credenze: niente vi è di più ostinato nella ricerca di Dio di un “non” che “crede”, un uomo che per tanto tempo si è sforzato di non credere e ora ha cambiato bandiera, è diventato un “non credente”, un “non che crede”, un “non” che per anni si è intestardito su un certo nichilismo e ora si lascia andare alla carità divina che onora e ama. Il non del credente Eugenio Scalfari parla con il credente Papa Francesco, poiché in lui, nel Papa, Eugenio crede, e credere nel Papa è credere in Dio, quel Dio che sta in cielo, in terra e soprattutto nel cuore di ciascuno, Dio unico per tutti e per tutti infinito. Dopo avere creduto a gente che spesso l’ha deluso, ora Scalfari crede in Dio, il “Dio che non è non”, affinché il mistero si perpetui, Dio che è l’unico degno di essere creduto in quanto di ciascuno di noi creditore e benefattore. Poiché il “non” di Scalfari crede in Dio, certamente più del sottoscritto, anima assai vagante, è questa sua nuova generosità che mi commuove, la sua insistenza nell’affermare con un “non” la propria credenza, citando nel finale del suo recente scritto queste dolcissime parole di Francesco: “Dio sempre ci aspetta come il padre del figliol prodigo che lo vide venire da lontano perché lo aspettava”.

 

A questo splendido verso mi permetto di aggiungere l’idea di Francesco raccolta da Eugenio, che Dio sempre aspetta il nostro ritorno, poiché se torniamo non Lo deludiamo, e tanto più Lo facciamo felice quanto più da Lui torniamo dopo lunghi viaggi perfino giù nell’inferno, e dal nulla. Dio essendo Dio ama anche questi nostri pasticci, i “non nulla” di cui è costellata la nostra esistenza, chi più chi meno, e chissà quale è il migliore. Abbiamo vagato a lungo prima di tornare, avevamo timore di incontrarLo, Dio, ma tornando in noi e in Lui la delusione svanisce: Dio è impaziente di sentire quel che diciamo, e ci accoglie così bene al punto che l’altro figlio, quello fin troppo ligio, s’innervosisce, lui sì deluso davvero, come tutti i gelosi, e un po’ rabbioso; ma anch’egli ispirato lascerà la casa paterna e andrà ramingo per il mondo, ne combinerà di ogni tipo e un giorno tornerà, perché il Padre così ama i suoi figli, ama i loro racconti, e sorride. Come sorride a Francesco che, bimbo senza paura, un giorno davanti a un milione di noi miseri si rinchiuse in quel che è chiamato “bagno chimico”; una parola, “chimico”, che un po’ di paura dovrebbe farla, invece no, nessuna vergogna, nessun nascondimento, il sorriso del Papa sempre, una simbologia, un’offerta, un gioco, e noi a sostare perplessi là dove la natura sembra scomparsa, travolta dalla miseria, e invece grazie a Papa Francesco diventa una reliquia ex carne, e anche ex praecordis, et ex indumentis pallioque, superando con la sua travolgente simpatia e umiltà il famoso wc rivestito d’oro dell’iconoclasta Maurizio Cattelan, che con il meteorite della “Nona ora” aveva pensato di abbattere al suolo quel gigante che fu ed è Giovanni Paolo II.

 

Sto un po’ qua un po’ là, ma un giorno tornerò anch’io, Padre, a raccontarTi qualcosa d’interessante.

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