Caro Salvini, essere vittima della giustizia è cosa seria, non un gioco
Al direttore - Trump criticato per l'ottimismo, ma va detto che tra poco Di Maio si dimette da capo politico.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Considero una grande pagliacciata il dibattito e il voto nella giunta per le autorizzazioni del Senato sul caso Salvini-Gregoretti. Alla fine, dopo tanti contorcimenti politici e gargarismi regolamentari, la maggioranza ha fatto, a mio avviso, una figura barbina. Il Capitano è accusato, infatti, di un episodio che “fa politica”. Ovvero la magistratura è dell'opinione che la linea di condotta di Salvini (e criticata dal Pd e da tanti altri) nel gestire l'immigrazione costituisca, in un caso specifico, un vero e proprio reato (nella vicenda della Diciotti fu salvato da un voto del Senato). Ne deriva che, nel votare a favore dell'autorizzazione a procedere, la maggioranza, al di là delle esigenze di giustizia, avrebbe avuto anche un interesse politico: non tanto per la condanna di Salvini, allo scopo di liberarsi sbrigativamente di un avversario; quanto piuttosto per avvalersi – come argomento del confronto elettorale – di un procedimento volto ad accertare se configurino un reato, peraltro grave, le misure di governo che hanno fatto la fortuna dell'ex ministro. Invece, la maggioranza ha marcato visita preoccupata di non trasformare Salvini in un “martire'' e favorire, così, la sua campagna elettorale, a tappeto, in Emilia-Romagna. In verità a me questa scelte pusillanime è sembrata una maniera contorta per dare indirettamente ragione al Capitano e per rinunciare ad attaccare, con il conforto della magistratura la sua politica da ministro e quella vergogna dei decreti sicurezza. Nel suo comizio di Bibbiano Salvini non esiterà un secondo a strumentalizzare la chiusura dell'indagini dell'inchiesta “Angeli e demoni”. In sostanza, chi aveva il timore di farne un martire, ne ha fatto, agli occhi dei suoi, un impavido eroe che, cambiando le carte in tavola, ha deciso di farsi processare. Tutto ciò, mentre è in corso, il 26 gennaio, una sfida esistenziale per la sinistra. Bonaccini ha tutto il diritto di chiedere all'Onnipotente di essere protetto dagli amici.
Giuliano Cazzola
Il tema della persecuzione sulla Gregoretti è una barzelletta utilizzata per distogliere l'attenzione da un fatto più rilevante: l'intenzione di Salvini di rivendicare il principio che i voti possono permettere a un politico di essere al di sopra della legge. Digiuno no, grazie.
Al direttore - “Salvini non è vittima della giustizia ma di se stesso”. Questo stesso, comparso sul Foglio di martedì, lo fece anche Ezio Mauro, su Repubblica, riferendosi a Silvio Berlusconi. Cos'è un calo, temporaneo, spero, di fantasia?
Moreno Lupi
C'è solo un piccolo problema, anzi due. Il primo problema è che Salvini non è Berlusconi. Al governo e all'opposizione, Berlusconi ha sempre fatto politica con il sole in tasca, ha sempre puntato sull'ottimismo, sull'Italia come terra di opportunità, sull'Italia come paese da amare. Salvini, al governo e all'opposizione, è tutto il resto. E' il manager della paura, del terrore, della chiusura, della diffidenza, e in tasca più che essere rifornito di sole è rifornito di moltissime sòle. In più, secondo punto, caro Lupi, Berlusconi è stato ed è un perseguitato politico, è stato vittima di una giustizia ideologica che ha costruito teoremi campati sul nulla per farlo fuori dalla politica per via giudiziaria. Salvini non è una vittima della giustizia, non è un perseguitato, ma è un politico che ha ammesso di aver violato alcune regole per, dice lui, fare gli interessi del suo paese. Non sta a noi condannarlo o assolverlo ma sta a noi ricordare cos'è un'impostura e cosa non lo è. E come potrebbe spiegare facilmente a Salvini Berlusconi essere vittima della giustizia non è un gioco ma è una cosa seria.
Al direttore - E' certamente corrispondente al vero scrivere, come Ella ha fatto nel Foglio di martedì, degli “schiaffi” ricevuti da Salvini da parte della Cassazione, a proposito di Carola Rackete, della Consulta, a proposito del referendum sulla legge elettorale, della Banca d'Italia, per gli effetti stimati sull'occupazione esercitati da quota 100, delle sardine, con la rottura del monopolio della piazza che sembrava essere detenuto dalla Lega. Ma è significativo che in questa elencazione non compaiano, per un successo su questo o quell'aspetto, gli antagonisti naturali della Lega che sono i partiti componenti la maggioranza, dai quali innanzitutto ci si aspetterebbe la comminazione con successo di schiaffi rigorosamente politici, dei quali però non si vede nemmeno la più lontana sagoma. Poteri, istituzioni, parti della società civile agiscono, mentre le formazioni politiche danno mostra di irresolutezza, confusione, timori. Non potrà durare a lungo l'imitazione, che così avviene di fatto, del cuculo. Ci si sveglierà finalmente? Intanto, il voto in Emilia-Romagna, checché se ne dica anche con atteggiamenti apotropaici da parte di alcuni, non potrà non avere conseguenze pesanti nel caso, “quod Deus avertat”, di sconfitta di Bonaccini che, invece, ha operato molto bene nel governo della regione e ha le carte in regola per continuare nel mandato. Con i migliori saluti.
Angelo De Mattia
Il modello Emiliano che il governo dovrebbe seguire è un modello opposto rispetto a quello che il governo oggi sta seguendo. Comunque vada a finire domenica, la strada per la crescita è una e solo una: più Bonaccini, meno Emiliano.
Al direttore - Bonafede il peggior ministro della Giustizia nella storia di questo disgraziato paese chiede il trasferimento del procuratore generale Lupacchini perché aveva criticato il procuratore Gratteri. Nel frattempo il Riesame annulla a raffica le misure cautelari. Ultima quella relativa a Nicola Adamo. Trasferiranno anche i giudici del Riesame? Tanto per sapere.
Frank Cimini
Al direttore - Ho letto con interesse il Manifesto di Giorgio Gori; le nostre strade si sono incrociate quando, nel 2017, insieme abbiamo condotto la battaglia sull'immigrazione con “Ero straniero”, riforma legislativa per la governance dei flussi migratori e per l'integrazione nel nostro mercato del lavoro dei cittadini non comunitari. Temi posti con intelligenza da Gori al centro di due questioni che connoteranno il nostro futuro: il rapporto con l'Africa e la questione demografica. Anche sulla produttività concordiamo che debba essere discussa la disincentivazione (pure fiscale) del nanismo d'impresa attraverso la promozione di aggregazioni tra aziende, capaci di divenire leader nei segmenti più elevati della catena del valore; e che si affronti la repulsione a considerare il welfare un risultato della produzione della ricchezza e non una variabile da essa slegata. Come Radicali, riteniamo che le debolezze del capitalismo non si colmino con maggiore statalismo, ma con una strategia pubblica di attrazione degli investimenti esteri. Sul welfare abbiamo presentato una proposta di legge di reddito di inserimento universale contro la povertà che, a differenza di quello di cittadinanza, non graverebbe troppo sui conti pubblici e sarebbe incondizionato e universale, supportando anche i working poor. La lotta alla criminalità organizzata è un altro tassello da non trascurare: bisogna percorrere la strada dell'antiproibizionismo, sottraendo il mercato delle droghe e del sesso alle mafie. Siamo convinti che la forza delle idee riformatrici in Italia si misuri sulla capacità di costruire iniziative, preferendole al posizionamento tanto autoreferenziale da apparire personalistico che appartiene alla maggior parte degli esponenti delle forze politiche. E' questa la sfida che attende noi e coloro che la pensano come Gori: che strumenti mettere in campo affinché le riforme necessarie al paese siano approvate? Nell'immediato, insieme, spingiamo per abrogare i decreti sicurezza e convincere il Pd a sostenere e approvare la proposta di legge “Ero Straniero” all'esame della Camera. Noi ci siamo.
Massimiliano Iervolino segretario di Radicali Italiani


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