La sfida allo stile di pensiero apocalittico così a là page in certa accademia

    A pocalypse Chic”: il timing è perfetto. Si sono chiuse ieri le iscrizioni ai primi corsi ordinari della Scuola superiore meridionale (Ssm) che quest'anno apre i battenti a Napoli e The Chronicle Review mette su un articolo, a firma di Charlie Tyson, sulla tendenza, diffusa nel ceto accademico, ad abbracciare un nichilismo superficiale e alla moda. In certi ambienti, scrive Tyson, la pessimistica certezza che – si tratti del futuro degli studi umanistici o di quello del pianeta – certe battaglie ideali sono già perdute, è divenuta uno stile di pensiero. D'altronde, Trump è il presidente in carica e la Terra è in fiamme: cosa c'è di meglio di un comodo fatalismo? Il segreto, naturalmente, è accompagnare la triste profezia con qualche pretenziosa formula abbastanza vaga da poter funzionare come promessa di future, “barocche sovversioni”: compariranno allora “nuovi modi di divenire”, “pratiche dell'ambiguità” “cenni in direzione dell'inarticolabile”, e il gioco sarà fatto.

    Ora, che cosa tutto ciò abbia a che vedere con la Ssm è presto detto. La Scuola doveva nascere dalla collaborazione della Federico II di Napoli con la Normale di Pisa. Lasciamo perdere il burocratese: l'idea era quella di portare al sud percorsi di studi superiori. Ma prima si sono messi di traverso quelli che contestano l'idea che il finanziamento del sistema universitario debba privilegiare le eccellenze (giusto o no che sia, perché l'argomento veniva proposto solo con la nascita della Ssm?), poi s'è svegliata la Lega, che avendo eletto il sindaco nella città toscana, al bellicoso grido di “la Normale ai pisani!” ha fatto saltare l'accordo. Il ministro Bussetti, però, ha dato i fondi lo stesso – 50 milioni per i primi tre anni –, e la Scuola è partita.

    Ma dicevamo: Charlie Tyson e la sua apocalisse chic. Il principale esempio che propone è quello dell'illustre Stanley Fish, e della sua disperata convinzione che nel cinico e utilitaristico mondo contemporaneo non c'è futuro per gli studi umanistici (e allora una Ssm che la apri a fare?). I classici vanno studiati solo per ragioni pseudotautologiche, per via del fatto che sono, appunto, dei classici, e tutti gli sforzi di trovare altri sensi, altre utilità, altre finalità (politiche, civili, sociologiche o psicologiche) sono vani. Se vi imbattete in un distinguished professor di questo tipo, coi vostri propositi timidamente riformistici farete sempre la figura o degli ingenui o, peggio, dei venduti. Mentre il vostro interlocutore – di solito uno studioso un po' in là negli anni che ha visto declinare il prestigio delle materie che insegna o quello della sua persona: un professorone, insomma – avrà la possibilità di far sfoggio di profonda comprensione dei tempi e, ovviamente, di non turbata superiorità morale.

    Qualche rischio di finire intrappolati in retoriche di questo genere c'è. Soprattutto nelle discipline umanistiche, in cui la tradizione di pensiero critico deve con sgomento constatare il calo degli iscritti e la perdita di peso sociale, mentre impazza il populismo antielitista e mettiamoci pure una destra truce che oltre un certo, presunto buon senso non riconosce che inutili sofismi.

    Fare una Ssm, cominciando da cose come Global History, tradizioni e culture del libro e archeologia del Mediterraneo antico è, perciò, una bella scommessa. Farla nel Mezzogiorno, dove rassegnazione (nei fatti) e rivoluzione (a parole) sono una costante del paesaggio politico e culturale lo è forse ancora di più. Poi verrà anche il resto: i dottorati, i corsi avanzati in materie scientifiche, la collaborazione con le altre scuole universitarie. E la valutazione del ministero, fra tre anni. Ma la vera cartina di tornasole è esposta ancora nell'articolo di Tyson: il numero di discorsi in cui entrano logiche apocalittiche, astrattamente binarie (tutto o nulla), invece che scalari (risultati positivi o negativi maggiori o minori, e nessuna fine del mondo). Se la Ssm contribuirà ad ammazzare i primi e a promuovere i secondi, la scommessa potrà dirsi vinta, almeno sul piano della sua funzione civile e pubblica.

    Massimo Adinolfi