
Il falso mito del dialogo tra paranoia e potere La parola più invocata per sconfiggere ogni male presuppone un soggetto senza limiti né peccati. Il filosofo Petrosino sviscera l'ideologia dialogica
Il dialogo è la sola speranza, e nessuno dice che è una stoltezza dirselo. Se i politici dialogassero, i problemi dell'Italia si risolverebbero. Se Donald Trump dialogasse con gli avversari, invece di twittare volgarità, le cose si sistemerebbero. Il conflitto israelo-palestinese? Ci vorrebbe il dialogo. La questione curda? Dialogo. Hong Kong? Dialogo. La riunione condominiale, la crisi di coppia, il cambiamento climatico? Dialogo, dialogo, dialogo.
Il termine apre tutte le porte e s'adatta anche ai contesti più spigolosi. Suggerendolo come soluzione di qualsivoglia controversia, difficilmente si sbaglia. Nel suo ultimo saggio, celebrato con le campane a festa dall'Osservatore Romano, Paolo Trianni, già autore di Per un vegetarianesimo cristiano, ne ha dato una definizione rarefatta: “Il dialogo è la forma specifica del divenire della vita”. Il titolo, per non sbagliare, è: Dialogo (Edizioni Messaggero Padova).
E' sinonimo universale di virtù: i promotori del dialogo sono i buoni, gli altri i cattivi. E “gli altri” sono difficili da scovare, perché a parole sono tutti a favore del dialogo, salvo alcune eccezioni qualificate. Talvolta qualche leader dice che “non si dialoga con i terroristi” e Papa Francesco ha fissato il limite di una pratica che pure incessantemente raccomanda: “Con il diavolo non si dialoga”. A forza di ripeterla, la parola si è inflazionata, si è persa nel vago, non si capisce bene quale sia la sua natura, quali le sue caratteristiche, se si tratti di un mezzo oppure di un fine, un valore in sé. Si sa soltanto che non lo si fa abbastanza, che ce ne vorrebbe di più. Un po' come se bastasse sedersi attorno a un tavolo e aprire la bocca per realizzare un dialogo. Cos'è, dunque, un vero dialogo? Cosa lo distingue dalla sua versione banalizzata, ripetuta all'infinito nel discorso pubblico ma che giace, in fondo, inesaminata?
L'indefessa redazione del “pensiero dominante” ha posto questo groviglio di questioni a Silvano Petrosino, filosofo e docente dell'Università Cattolica, per iniziare a sbrogliare qualche filo. Secondo Petrosino, il dialogo così com'è usato e abusato oggi si poggia su un grande equivoco, che definisce “una concezione antropologicamente ingenua dell'essere umano”. “Viene dato per presupposto – dice il professore – che due soggetti che dialogano abbiano voglia di scambiare idee e di comunicare con l'altro. Questa presunta volontà sarebbe però tradita da condizioni esterne che impediscono di realizzare il proposito”. Vorremmo davvero ascoltare le ragioni gli uni degli altri, ma le circostanze lo impediscono: ragioni politiche, di contesto, di equilibri, di opportunità. La colpa del mancato dialogo è sempre da ricercare al di fuori dei dialoganti.
Petrosino, che ritiene falsa questa volontà presupposta e dunque identifica come “ideologica” la concezione che ne discende, sintetizza il ragionamento ricorrente: “Rimuoviamo gli impedimenti esterni e così risolviamo il problema”. Non è così. L'inghippo sta nell'idea di soggetto imposta dal mondo che lui definisce “liberale-consumistico”. Qual è questa idea? “Che il soggetto sia ben formato, ricco di potenzialità, che sappia chiaramente chi è e che cosa vuole. Questo soggetto è senza inconscio, senza vizi, senza limiti interni. Per usare una parole che ormai abbiamo abbandonato: è senza peccato”. Un uomo con queste caratteristiche non vuole dialogare – pur dichiarando di volerlo – perché crede di sapere tutto circa se stesso e di non avere limiti interni. Il dramma è che un uomo così non esiste, non è mai esistito, è un miraggio concepito per convincersi e convincere che il soggetto, così com'è prevalentemente inteso nell'occidente contemporaneo, abbia un gran desiderio di dialogare. In realtà non ne ha alcuna voglia, ma per celare, anche a se stesso, questa inammissibile indisponibilità deve scaricare altrove le responsabilità del proprio fallimento. Emerge così quello che Petrosino chiama il “soggetto paranoico”, quello che accusa sempre l'altro di essere la causa dell'impossibilità di dialogare: “Nietzsche diceva: soffro, la colpa è dell'altro”. Così dice anche l'uomo contemporaneo, che dichiara amore totale per l'istituto del dialogo e disprezzo altrettanto totale per l'interlocutore che lo impedisce.
“Ai miei studenti – prosegue il professore – spiego sempre la distinzione fra dibattito e discussione. Il dibattito contiene già nella parola l'idea del battere: fra due che dibattono vince chi batte di più, o chi batte più forte. Nella discussione troviamo sempre il due, ma ciò che preme in questo caso è cogliere la verità. Questa impresa è talmente difficile che io attendo l'altro, sono aperto di fronte a lui. In sintesi potremmo dire che il dibattito riguarda l'io, la discussione la verità”.
Questa distinzione aiuta a capire meglio la caratteristica principale del soggetto paranoico, il quale “suppone di sapere”, è un anti-socrate che tramuta ogni discussione in dibattito. C'è poi una seconda caratteristica, che squaderna la dimensione ideologica del dibattito, e che il filosofo illustra citando il profeta Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene”. Il dialogo viene “agitato oggi per motivi ideologici, perché sempre l'ideologia usa le grandi parole svuotandole di significato. Le svuota per nascondere i veri fattori in gioco, ad esempio i rapporti di potere”. Si fa del dialogo un idolo per non essere costretti ad ammettere che ciò che si persegue, in realtà, è un altro tipo di confronto, una misurazione dei rapporti di potere, cosa peraltro perfettamente normale nell'esperienza umana naturale.
“E' chiaro che le relazioni nella vita naturale sono relazioni di guerra, di conflitto. L'uomo, considerato soltanto nella sua dimensione animale, è così: non gli interessa parlare, vuole aver ragione. Allo stesso tempo, l'uomo è l'unico essere capace di bene, cioè capace di una posizione di apertura verso la verità. Ma occorre fatica per rifondare o recuperare questo tipo di soggetto: passeggiando nei boschi trovi soltanto la legge di natura”, dice Petrosino. Matteo Salvini offre un esempio del logoramento ideologico quando dice: io ascolto tutti, ma vado avanti per la mia strada: “Il vero ascolto – chiosa Petrosino – implica la possibilità di cambiare. Lui non sta ascoltando, sta sentendo: è un altro esempio dello svuotamento delle parole”. Sarebbe troppo facile collocare l'equivoco del dialogo nel perimetro della propaganda politica, e Petrosino, che è cattolico, ne ha anche per il mondo cattolico che, agitando il vessillo del dialogo, cade nello stesso fraintendimento. Con un'aggravante: Papa Francesco, sostiene il filosofo, dice delle parole – cioè introduce elementi per spezzare la catena della falsa discussione – ma intorno a lui “non c'è nessuno che le pensa”, le parole. Il dialogo è così: una parola detta senza essere pensata.


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