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Il foglio internazionale

Sergey Tihanovski, il dissidente bielorusso che sveglia l'occidente

Ex candidato presidenziale bielorusso liberato dopo cinque anni di carcere, denuncia il regime di Lukashenko e l’esitazione dell’Occidente che per troppo tempo "ha trattato la Bielorussia come un cuscinetto grigio tra la Russia e la Nato". L'articolo sul Washington Post

"La politica è un affare sporco! Avreste dovuto essere pronti a tutto! Non ci sono regole!!. Questi avvertimenti provenivano dal leader della Bielorussia ai suoi oppositori politici quando si è presentato al centro di detenzione del KGB a Minsk dopo aver rubato le elezioni del 2020. Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha parlato per cinque ore. Eravamo in dodici in quella stanza. Tutti arrestati con accuse inventate. Tutti condannati in seguito a pene detentive assurde e brutali. Due di noi erano candidati alla presidenza, io uno di loro”. Così Sergey Tihanovski, attivista politico ed ex candidato alla presidenza, sul Washington Post.

 

“Mi sono rifiutato di stringere la mano al ladro. Mi sono rifiutato di chiedere la grazia. Per questo, ho ricevuto venti anni di carcere. Se non fosse stato per la diplomazia poco ortodossa di Donald Trump, non starei scrivendo queste parole. Un incontro inaspettato a giugno a Minsk tra Lukashenko e il generale Keith Kellogg, inviato speciale di Trump in Ucraina, ha portato alla mia liberazione dopo cinque anni di isolamento. A quasi cinque mesi dalla mia libertà, mi sto rimettendo in pari con il mondo in cui sono rientrato. Il quadro è sconfortante. Il vecchio ordine globale si è dissolto. Stiamo assistendo a una Guerra Fredda 2.0 con tre teatri principali: Europa, medio oriente e Indo-Pacifico. In Europa, la gestione della guerra in Ucraina da parte dell’amministrazione Biden è stata esitante e reattiva. Gli aiuti sono arrivati insufficienti e troppo tardi; le armi sono state fornite a goccia a goccia e all’Ucraina è stato ripetutamente intimato di non colpire obiettivi all’interno della Russia. Il risultato è una guerra di logoramento che l’Ucraina non può vincere sul campo di battaglia, ma che potrebbe comunque vincere diplomaticamente. Gli Stati Uniti devono riscoprire il mix di deterrenza e coinvolgimento che un tempo caratterizzava una leadership americana di successo. Sarebbe giusto che l’Europa si assumesse maggiori responsabilità per la sua frontiera orientale, soprattutto ora che gli Stati Uniti sono sovraccarichi altrove. Ma senza la leadership americana, l’Europa fatica ancora ad agire con unità e determinazione. In medio oriente, Israele ha dimostrato la volontà di difendere la prima linea della civiltà occidentale".

 

"Gli avversari dell’occidente non sono solo la Russia, la Cina o l’Iran, ma anche forze interne che erodono la fiducia in se stessi e la chiarezza morale. Putin e Xi Jinping non sono legati dall’affetto, ma dalla comune opposizione all’ordine occidentale. Immaginate per un attimo che, nel 2020, quando il popolo bielorusso si riversò nelle strade chiedendo un cambiamento, l’occidente fosse stato preparato. Se la Bielorussia non fosse stata abbandonata a Lukashenko, Putin avrebbe dovuto affrontare un risveglio  ai suoi confini, che avrebbe potuto rimodellare gli equilibri  nell’Europa orientale prima che il primo carro armato russo entrasse in Ucraina. Per troppo tempo, l’occidente ha trattato la Bielorussia come un cuscinetto grigio tra la Russia e la Nato. Questa compiacenza è stata uno dei più grandi doni strategici del Cremlino. La finestra di opportunità si aprirà di nuovo. Quando ciò accadrà, gli Stati Uniti dovranno essere pronti. Il costo dell’esitazione non si misurerebbe in termini di influenza persa, ma nell’ulteriore disfacimento dell’ordine che l’America un tempo ha costruito”. 

(Traduzione di Giulio Meotti)

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