
un foglio internazionale
La vendetta postuma di Bin Laden
“Ho cercato di vedere l’11 settembre non come uno scontro di civiltà tra l’islam e l’occidente, ma Samuel Huntington, Bernard Lewis e mia moglie Ayaan Hirsi Ali avevano ragione”. Niall Ferguson spiega perché bin Laden ha perso la battaglia ma sta vincendo la guerra
Il cielo azzurro di settembre su New York mi ha riportato alla mente alcuni ricordi, questa settimana” scrive Niall Ferguson sulla Free Press. “Ventiquattro anni fa, avrei dovuto tenere una lezione alla New York University. La data della lezione era il 12 settembre. Non ho mai preso l’aereo. Il giorno degli attacchi, ero seduto nel mio studio al Jesus College di Oxford, a fissare incredulo il video in diretta pixellato delle Torri Gemelle prima in fiamme e poi crollate. Non molto tempo dopo, nell’aprile del 2002, accettai una cattedra alla Stern School of Business della New York University e mi dimisi dalla cattedra di Oxford. La mia motivazione era in parte l’ereditarietà scozzese di marciare verso il rumore degli spari. Da adolescente, nel 1914, mio nonno John Ferguson si era offerto volontario per combattere i tedeschi. Questo sembrava più facile. Indipendentemente dalle motivazioni degli attentatori dell’11 settembre, nutrivo una forte obiezione al terrorismo come metodo politico, frutto della mia crescita a Glasgow negli anni Settanta, quando i ‘Troubles’ nella vicina Irlanda del Nord fecero più che una semplice eco. Il mio primo impulso dopo gli attacchi, in un articolo per il New York Times, fu di paragonare la reazione britannica di solidarietà all’11 settembre alla reazione americana al Blitz del 1940-41. Ma avvertii anche gli americani di ‘prepararsi per una guerra lunga e ingloriosa che i governi europei conoscono già fin troppo bene’.
Nelle guerre contro i terroristi, scrissi, ‘non ci sono vittorie rapide. Il nemico non schiera i suoi carri armati perché tu li distrugga, le sue navi perché tu li affondi. Le sue truppe vivono tra di voi’. Eppure questa non era l’Ira. Rileggendo la trascrizione del video di Osama bin Laden del 3 novembre 2001,, il primo dopo l’11 settembre, mi viene in mente quanto esplicitamente avesse parlato di una guerra di religione. ‘In nessuna circostanza’, dichiarò, ‘dovremmo dimenticare questa inimicizia tra noi e gli infedeli. E’ una questione di fede, non una guerra contro il terrorismo’. Bin Laden ha fatto risalire la sua guerra alle conseguenze della Prima guerra mondiale, quando ‘l’intero mondo islamico cadde sotto la bandiera crociata… e la Palestina fu occupata dagli inglesi’. Ora la situazione si era capovolta. E lui l’aveva capovolta con soli 19 uomini la cui fede esaltava il martirio.
Confrontando il mondo di oggi con quello di 24 anni fa, sono tentato di dire che bin Laden ha perso la guerra al terrorismo, ma sta vincendo lo scontro di civiltà. Si può capire perché, all’epoca, molti commentatori vedessero l’11 settembre come una rivincita per il politologo di Harvard Samuel Huntington, il cui saggio fondamentale su ‘Lo scontro di civiltà’ era stato pubblicato nel 1993, così come per lo studioso di Princeton Bernard Lewis, che da tempo sosteneva che l’Islam fosse cronicamente incapace di modernizzarsi.
Mia moglie, Ayaan Hirsi Ali, che è nata in Somalia, condivideva questa opinione, non perché fosse una studiosa dell’islam, ma perché era musulmana, e, in effetti, un ex membro dei Fratelli musulmani. Nel settembre del 2001, lavorava presso un think tank politico nei Paesi Bassi, dove aveva cercato asilo nel 1992 per sfuggire alla guerra di Mogadiscio e a un matrimonio combinato. Nel suo libro di memorie, ‘Infidel’, ricorda come, dopo aver ascoltato il video di Bin Laden, prese il Corano e gli hadith e iniziò a sfogliarli per controllare. ‘Odiavo farlo, perché sapevo che ci avrei trovato le citazioni di bin Laden’. Raggiunse la notorietà dicendo agli olandesi che gli attentatori dell’11 settembre stavano semplicemente eseguendo l’ingiunzione del Profeta Maometto di scatenare la guerra santa.
Negli ultimi 24 anni, ho cercato di vedere l’11 settembre in modo diverso, non come uno scontro di civiltà tra l’islam e l’occidente, ma come qualcosa che si adattasse meglio al mio quadro di riferimento laico. Cresciuto ateo, formato come storico dell’economia, mi sono sentito in dovere di guardare oltre quello che consideravo essere una facciata di fanatismo religioso.
Huntington, Bernard Lewis e mia moglie avevano ragione. Dite quello che volete delle nostre agenzie per la sicurezza nazionale, hanno vinto quella guerra. Eppure la radicalizzazione non violenta (quella che l’islam chiama dawa in contrapposizione a jihad violenta) ha fatto progressi significativi ovunque nel mondo occidentale, ovunque ci siano comunità musulmane. Non smetto mai di meravigliarmi dell’ingegnosità con cui i Fratelli musulmani e altre organizzazioni di proselitismo diffondono la loro rete, attraverso moschee, centri islamici, scuole, università e politica locale. Un altro esempio è il modo in cui il Qatar – la principale fonte di donazioni straniere alle università statunitensi dall’inizio delle ricerche nel 1986 – incanala denaro nel mondo accademico. Secondo il Network Contagion Research Institute, come riportato da Free Press, quasi un terzo delle donazioni del Qatar alle università americane – oltre 2 miliardi di dollari – è stato effettuato tra il 2021 e il 2024. Negli ultimi tre anni, si è avverato lo scenario peggiore di Brzezinski. ‘Potenzialmente, lo scenario più pericoloso’, scrisse in The Grand Chessboard (1997), ‘sarebbe una grande coalizione tra Cina, Russia e forse Iran, una coalizione ‘antiegemonica’ unita non dall’ideologia ma da rimostranze complementari’. Dall’invasione russa dell’Ucraina, questa grande coalizione si è formata, con la Corea del Nord come quarto membro. Il punto è che lo scontro di civiltà continua. Ora chiedetevi: chi sta vincendo? L’attacco di Hamas contro Israele di due anni fa è stato essenzialmente un 11 settembre israeliano (peggiore in termini relativi). Ma confrontate le reazioni globali. La Risoluzione 1373 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottata all’unanimità il 28 settembre 2001, invitava tutti gli stati membri a congelare i finanziamenti al terrorismo, ad approvare leggi antiterrorismo, a impedire ai sospetti terroristi di attraversare i confini internazionali e a controllare i richiedenti asilo per possibili legami con il terrorismo. Questa è stata una dimostrazione di unità internazionale senza precedenti. Al contrario, nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza è stata approvata in seguito al 7 ottobre. Dieci paesi hanno riconosciuto l’inesistente stato palestinese dal 7 ottobre, tra cui tre stati membri dell’Unione Europea, Irlanda, Slovenia e Spagna. Canada, Francia e Regno Unito non vedono l’ora di unirsi a loro.
Ecco perché, confrontando il mondo di oggi con quello di 24 anni fa, sono tentato di dire che bin Laden ha perso la guerra al terrorismo ma sta vincendo lo scontro di civiltà. Questo non significa che il suo particolare tipo di jihadismo salafita stia vincendo; si può persino sostenere che sia in declino. Il credo di bin Laden è sempre stato troppo intransigente per formare alleanze di convenienza. Al contrario, l’‘Intifada globale’ filo-palestinese è molto più onnivora e può facilmente assorbire la vecchia sinistra (marxismo e panarabismo) e la nuova (anti-globalismo e wokeismo).
Dal punto di vista demografico, l’islam sta certamente vincendo. Secondo Pew Research (giugno 2025), ‘il numero di musulmani nel mondo è cresciuto del 21 per cento tra il 2010 e il 2020, passando da 1,7 miliardi a 2 miliardi’. Questo è stato il doppio della velocità rispetto al resto della popolazione mondiale. In Europa, secondo le stime del Pew Research Center, i musulmani rappresenterebbero il 10 per cento della popolazione complessiva, rispetto al 5,9 del 2010. Negli Stati Uniti, i musulmani supererebbero in numero gli ebrei. Questo non sembra improbabile. Già nel Regno Unito, Muhammad ha superato Noah come nome più diffuso per i bambini maschi in Inghilterra e Galles, essendo tra i primi 10 dal 2016. Allo stesso tempo, la civiltà occidentale oggi è molto più divisa di quanto non fosse 24 anni fa. La risposta pubblica al 10/7 ha messo in luce le divisioni. Mentre gli elettori più anziani rimangono generalmente più filo-israeliani che filo-palestinesi, le coorti più giovani hanno preso una posizione opposta. Forse questo perché per la Generazione Z l’11 settembre è un vago ricordo, tanto lontano quanto la crisi missilistica cubana e l’assassinio di Kennedy lo erano per la mia generazione. Ma anche perché gli islamisti hanno fatto un ottimo lavoro nel cooptare i radicali del campus, superando in qualche modo la dissonanza cognitiva di slogan come ‘Queers per la Palestina’, e allo stesso tempo facendo leva sull’antisemitismo che ancora aleggia nell’estrema destra. Durante la Guerra fredda, l’occidente veniva spesso definito una civiltà ‘giudeo-cristiana’. Questo termine inizia a sembrare un anacronismo. Due anni fa, un’altra dichiarazione di bin Laden – la sua Lettera all’America, originariamente pubblicata nel primo anniversario dell’11 settembre – ha goduto di un improvviso ritorno di interesse, anche perché i suoi attacchi al potere degli ebrei americani sembravano toccare una corda sensibile. Camminando per le strade di New York questa settimana, mi sono sentito vecchio. Per i miei figli, i miei studenti e i miei dipendenti, l’11 settembre non è un ricordo. Non è nemmeno un fatto storico. Mi ci sono voluti tutti questi anni per capire che l’11 settembre è stato davvero uno scontro di civiltà. E mi ci è voluta solo questa settimana per affrontare finalmente la realtà che la nostra sta perdendo”.
(Traduzione di Giulio Meotti)



il foglio internazionale