Il Foglio internazionale

“L'occidente è fatto di  popoli impauriti diretti da persone altrettanto impaurite”

Patrice Franceschi ha scritto un saggio che è “un colpo di sciabola contro la nostra principale malattia: l’avversione al rischio”. Intervista

Patrice Franceschi, scrittore, avventuriero, cineasta, marinaio, pilota e organizzatore di missioni umanitarie nelle zone di guerra, firma un saggio “a forma di sciabola” contro la nostra avversione al rischio, “Le Goût du risque”, con Andrea Marcolongo e Loïc Finaz, edito da Grasset. L’avventuriero, già autore del libro “Éthique du samouraï moderne”, uscito sempre per Grasset, ci invita a guardare la morte in faccia per ritrovare il coraggio che ci manca, in Francia come altrove. Samuel Dufay l’ha intervistato per il Point.

Nel suo libro, lei constata la ritrosia mortifera delle nostre società. Ripiegamento su di sé, eccesso di prudenza… Come siamo arrivati a questo punto? 

Stiamo vivendo una contrazione del mondo allo stesso tempo geografica, intellettuale, mentale, morale e psicologica. Siamo entrati nei tempi post-eroici dell’occidente, diversi dal mondo in cui abbiamo vissuto per duemila anni. La vittima ha sostituito Ulisse nel ruolo dell’eroe moderno. Questo saggio letterario, scritto con Andrea Marcolongo e Loïc Finaz, è un colpo di sciabola contro la nostra principale malattia: l’avversione al rischio. E il ripiegamento su di sé che ne deriva. Osservate la letteratura di oggi: ognuno racconta il proprio trauma o quello del proprio ambiente familiare o amicale. Nei testi di Romain Gary, Joseph Kessel, André Malraux o Antoine de Saint-Exupéry, ci si occupava invece del trauma degli altri, preferibilmente quelli delle persone lontane. C’era un afflato e un senso di grandezza. E’ quello che manca oggi.

Tenuto conto dell’invecchiamento della popolazione europea, questa tendenza non è forse ineluttabile? 

Nulla è ineluttabile e tutto è possibile. Ci sono persone di novant’anni che vivono in tempi eroici del pensiero e dell’azione, altre di venti che pensano già alla loro pensione. Mi limito a constatare un fatto, non a giudicare. L’ambiente psicologico, familiare e sociale è cambiato in un senso sfavorevole all’energia vitale. Ciò si riscontra anche nella nostra politica internazionale. Prendiamo l’esempio del Nagorno-Karabakh: ancor prima di agire, i nostri dirigenti hanno pensato ai rischi che potrebbero presentarsi e sono entrati in un turbamento che li ha paralizzati. 

Che cosa bisogna fare? 

Per l’Armenia, avremmo dovuto agire tre anni fa (quando è scoppiata la guerra armeno-azera del 2020, ndr). Se avessimo dato prova di coraggio, avremmo trovato in quel momento delle soluzioni politiche e diplomatiche tali da evitare gli eventi attuali. Avremmo dovuto imporre una linea rossa all’Azerbaijan e alla Turchia per proteggere l’enclave del Nagorno-Karabakh e il corridoio di Lachin (l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh e la Repubblica d’Armenia, ndr). Bisognava minacciare questi paesi con la forza: ritorsioni diplomatiche e economiche, risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu, etc. Aliyev e Erdogan, che ragionano soltanto in termini di rapporti di forza, ne avrebbero tenuto conto. Abbandonando oggi il Nagorno-Karabakh, non facciamo altro che incoraggiare questi paesi dalle mire espansionistiche a spingersi ancora più lontano.

La resistenza ucraina dinanzi all’aggressione russa, il coraggio dei curdi e la battaglia delle donne iraniane mostrano che il coraggio non è sparito…

Certo, esistono dei barlumi di speranza un po’ dappertutto, ma la maggior parte delle volte fuori dall’occidente costituito da popoli impauriti guidati da persone altrettanto impaurite. Anche in questo caso, mi limito a constatare dei fatti, non a giudicare. Spetta a noi tornare a essere ucraini, curdi, iraniani… Questi popoli, per i quali siamo stati un tempo dei modelli a cui ispirarsi, sono oggi i nostri modelli (…). Il quadro è cupo, ma il nostro ottimismo di battaglia è totale. I rimedi sono chiari e luminosi. 

Che cosa vuole dire con questo?

E’ necessario che ognuno ritrovi il gusto del rischio e lo comunichi alla società intera. E’ la scommessa sul futuro, l’esuberanza della gioventù per affrontare le tempeste della storia che si stanno avvicinando. Il gusto del rischio favorisce la comparsa della volontà di portare a termine le proprie vocazioni, i propri sogni, a prescindere dal prezzo da pagare. Accettiamo il prezzo della libertà come abbiamo saputo fare per molto tempo! (…). Con il gusto del rischio, torna il coraggio e anche l’abnegazione, l’interesse per l’altro torna a essere centrale e contrasta l’individualismo e il narcisismo esacerbati.

(Traduzione di Mauro Zanon) 

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