UN FOGLIO INTERNAZIONALE

Che cosa insegna l'Ucraina all'Ue

François-Xavier Bellamy e Alain Finkielkraut dialogano su scuola, Europa e civiltà  

Davanti ai lettori del Figaro, il filosofo e accademico di Francia Alain Finkielkraut e l’eurodeputato gollista François-Xavier Bellamy si sono resi protagonisti di un dialogo potente e appassionato su una serie di temi scottanti. Entrambi condividono la stessa diagnosi pessimistica sulla scuola e difendono una Europa delle nazioni.

 
Le Figaro – François-Xavier Bellamy, si può trovare nel suo primo libro “Les déshérités” una certa vicinanza alle idee espresse ne “La Défaite de la pensée” di Alain Finkielkraut. Questo libro è stato per lei una fonte di ispirazione? 

  

François-Xavier Bellamy – La lettura del libro “La Défaite de la pensée” mi ha segnato profondamente. Ho vissuto come professore quello che Alain Finkielkraut aveva annunciato, ossia la rinuncia del mondo occidentale alla “vita col pensiero”, alla ricerca della verità, all’esigenza intellettuale. Lo vediamo tutti i giorni nel dibattito politico, ma questo fenomeno comincia anzitutto a scuola, con la crisi della trasmissione del sapere di cui siamo tutti a conoscenza. Ho letto questo libro di  Finkielkraut quando ero studente, e ricordo ancora quanto fu importante per me. Rimasi colpito dalla grandissima lucidità di questa previsione, che bisogna prendere sul serio se vogliamo ricostituire una via intellettuale, una via dello spirito, una trasmissione della cultura, che siano nuovamente il fermento di una vita sociale e politica degne di questo nome. Nel suo libro, Finkielkraut, ha annunciato che la storia della nostra civiltà potrebbe concludersi con “lo scontro tra il fanatico e lo zombie”. Questa formula trova purtroppo riscontro in molti eventi contemporanei.

 

Alain Finkielkraut, il libro di François Xavier-Bellamy si presenta come una risposta al libro di Pierre Bourdieu “Les Héritiers”. Qual è stata l’influenza di Pierre Bourdieu? Lei vuole riabilitare la nozione di eredità?

 

Alan Finkielkraut – Il libro di Bourdieu e Passeron “Les Héritiers”, pubblicato nel 1964, ha avuto un impatto enorme e un’influenza che si fa ancora sentire sull’istituzione scolastica, attraverso le riforme che vengono portate avanti senza tregua da quasi cinquant’anni a questa parte. Il titolo stesso del libro ha assestato un terribile colpo agli ideali repubblicani. La Rébublique aveva pensato di rispondere alla cooptazione borghese con la selezione dei migliori, fondata sull’uguaglianza delle opportunità. Ma Bourdieu arriva a dire che questa uguaglianza è in realtà un’impostura, un’imitazione della gerarchia sociale. Afferma, statistiche alla mano, che questa opposizione tra merito e eredità è ingannevole e permette ai dominanti di legittimare la loro dominazione attraverso le diseguaglianze scolastiche. Secondo Bourdieu, sono quelli che hanno più mezzi a disposizione, quelli nati in milieu privilegiati ad aver successo a scuola; e quelli che vengono dalle fasce più svantaggiate sono portati a pensare che possono soltanto prendersela con loro stessi per il proprio destino sociale, visto che non ottengono buoni voti. Bourdieu, con questa riflessione, ha traumatizzato l’istituzione scolastica. Questa, per rispondere alla sua critica, ha voluto bandire il processo di selezione, almeno nell’insegnamento secondario. La parola “selezione” è allora diventata assolutamente vietata.

 

Siete due europei legati all’idea di nazione e di identità nazionale. Ma l’Unione europea, oggi, è ancora compatibile con l’idea di nazione? E’ una macchina che costruisce le nazioni o decostruisce gli stati nazione? François-Xavier Bellamy, il suo punto di vista è cambiato da quando è all’interno della macchina europea? 

FXB – Ho effettivamente imparato molte cose da quando sono all’interno della macchina, ma il mio pensiero non è cambiato su questa questione. Non si tratta di sapere se ci vorrà più Europa o più nazione. Un’unione autenticamente europea dovrebbe cominciare dal riconoscere la singolarità del suo modello di civiltà. L’Europa non è una costruzione, un progetto, una struttura amministrativa o istituzionale, è una civiltà iniziata più di venticinque secoli fa. Siamo dunque legati l’uno con l’altro non solo da una prossimità geografica o da interessi comuni, ma anzitutto da princìpi che ereditiamo da questa storia millenaria. Ed è proprio questo che potrebbe dare senso all’Unione europea. Ma poiché rifiuta di pensare a questa storia, l’Unione europea si ribella contro le proprie radici. La Commissione europea, un anno fa, voleva vietare ai suoi funzionari di augurare “Buon Natale” per essere inclusiva; e allo stesso tempo, sempre in nome dell’inclusione, finanziava una campagna di pubblicità affermando che “la gioia è nell’hijab”…

  

Alain Finkielkraut, l’Unione europea difende secondo lei questa civiltà europea o sta diventando un ostacolo alla trasmissione di questa eredità? 

L’Unione europea si è concepita, fin dall’inizio, non come una civiltà, ma come una costruzione, il che pone dei problemi. Ha voluto fare tabula rasa del passato europeo, del passato di guerra, dei conflitti nazionali esacerbati… Ha voluto dunque essere, fin da subito, post nazionale. I costruttori dell’Europa si sono presentati non come degli eredi, ma esclusivamente come degli innovatori. Il modello assoluto di questo comportamento era il senso di colpa tedesco. I più europeisti degli europei sono i filosofi e sociologhi tedeschi, come Jürgen Habermas, che vuole sostituire il patriottismo sostanziale con un patriottismo costituzionale, ossia l’amore esclusivo delle norme, delle leggi e dei valori. Siamo arrivati fino al punto di prendere in considerazione la candidatura della Turchia nell’Unione europea. Per credere che la Turchia faccia parte dell’Europa, bisogna che l’Europa stessa non faccia più parte dell’Europa. Tuttavia, stanno accadendo diverse cose oggi, in particolare nel quadro della guerra in Ucraina. Gli ucraini rivendicano uniti la loro identità nazionale e il loro ancoraggio europeo. Gli europei che sostengono l’Ucraina devono tenerne conto. Ci si può augurare che sia l’occasione per una presa di coscienza.

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