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un foglio internazionale

Una chiesa aperta a tutti, tranne ai fedeli legati alle antiche tradizioni liturgiche

Mathieu Bock-Côté denuncia “la diseuropeizzazione del cristianesimo” dietro la scelta del Papa sulla messa in latino

"Lo sconcerto suscitato ben oltre i milieu ‘tradizionalisti’ dalla decisione di Papa Francesco di non ridefinire lo statuto della messa secondo il rito preconciliare, bensì di programmare la sua estinzione, impedendogli non solo di espandersi, ma, peggio ancora, trattandolo come un residuo ancore utile a far piacere a qualche vecchietto rinchiuso nei suoi teneri ricordi ed esageratamente attaccato ai misteri della Chiesa di un tempo, illustra bene la portata di questa decisione, e anche la sua violenza” scrive sul Figaro il sociologo Mathieu Bock-Côté.

  


Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera  con punti di vista che nessun altro vi farà leggere. A cura di Giulio Meotti


 

“Sembra proprio che la Chiesa, e ciò non rappresenta una novità, voglia essere assolutamente ecumenica e aperta a tutti oggi, tranne a quelli, tra i suoi fedeli, che desiderano conservare le più profonde tradizioni liturgiche. Come se la Chiesa dovesse, nei suoi ranghi, dare la caccia ai reazionari e umiliare quelli che credono ancora alle verità che ha sempre predicato, al linguaggio attraverso cui le predicava, e che infastidiscono oggi quelli che si inginocchiano più allo spirito dei tempi che alla croce. I cattolici tradizionali sono forse gli unici a non essere benvenuti nella Chiesa?

 

Michel Onfray, in un eccellente testo pubblicato sul Figaro, ha ricordato a ragione che la messa tridentina appartiene al patrimonio spirituale e culturale della civiltà occidentale. Si aggiungerà che la liturgia non serve ad altro che a impreziosire le verità della fede e le preghiere di sempre: attraverso la liturgia, si dispiega un linguaggio capace di parlare a regioni inaccessibili dell’anima e di dare accesso a verità altrimenti inesprimibili del sacro. La bellezza può portare alla fede. Il rito è un linguaggio modellato dalla storia, ma che non si riduce, checché se ne dica, a un’accumulazione arbitraria di tradizioni più o meno assemblate, che potrebbero essere sacrificate per essere modernizzate.

 

Ci si dimentica, peraltro, che il rito tradizionale, nonostante la sua marginalizzazione, continua a condurre gli uomini verso il cattolicesimo, che trasforma quelli che Louis Pauwels chiamava i cristiani del portico in credenti e praticanti, e che tramite lui molti si convertono o riallacciano i legami che avevano smarrito. Ciò ci conduce nel cuore di una questione troppo spesso trascurata. Ci si preoccupa a ragione della scristianizzazione dell’Europa, ma non abbastanza della diseuropeizzazione del cristianesimo. Perché il cattolicesimo è indissociabile dalle mediazioni attraverso cui si è incarnato nella storia. Si dispiega attraverso i numerosi volti dell’umanità, ed è estraneo alla tentazione livellatrice che, in nome di un ritorno fantasticato alla rivelazione primitiva, giustificherebbe la spianatura delle culture e delle forme storiche particolari che permettono agli uomini di abitare il mondo sotto il segno di una continuità vivibile. E’ assai strana l’idea di assimilare l’eredità a una scoria, ed è ancora più strana l’idea che la fede, per offrirsi a tutti gli uomini, debba abolire persino il ricordo dei riti attraverso cui ha forgiato l’anima di una civiltà, a tal punto da diventarne indissociabile.

 

Sarebbe un errore ridurre questa consapevolezza a una forma di cattolicesimo ‘identitario’, come viene detto per farsi paura. Va letta piuttosto come una preoccupazione legittima per le radici più intime della cultura. L’uomo non cresce disincarnandosi, e la fede fiorisce decisamente male sulle ceneri di una liturgia incendiata. Nessuno si aspetta che Roma riposizioni il rito tradizionale al centro di ciò che chiameremo la liturgia dominante. Non sembra tuttavia un’esagerazione sperare che il Papa non cerchi di sradicarla. E’ forte la tentazione di citare Brassens: aveva capito che una religione che rinuncia alla sua tradizione sacrifica il linguaggio, senza il quale le sue verità rischiano di diventare inascoltabili. Potrei anche citare Montherlant che nei suoi quaderni, se non mi sbaglio, diceva a suo modo che sperava di incontrare un prete credente.

 

La formula non è banale: gli uomini e le donne che si sono avventurati alla soglia della Chiesa, col desiderio di varcarla, hanno incontrato spesso, nel loro percorso, preti dalla fede traballante, quasi diffidenti verso coloro che bussavano alla loro porta, come se venissero alla loro messa con un ardore sospetto. Non rischiano tuttavia di ricevere una tale accoglienza tra quelli che vogliono essere guardiani non solo di un rito, ma anche di un rapporto con la fede che trova nella liturgia tradizionale non una stampella, ma un modo di accedere alla più ricca delle esperienze. La forza attrattiva della messa tradizionale non si spiega necessariamente con il compiacimento nostalgico. Quelli che si chiedono perché le comunità ‘tradizionali’ riescono a crescere nonostante l’anatema scagliato su di loro troveranno forse qui l’inizio di una risposta alla loro domanda.

  

(Traduzione di Mauro Zanon)